Manifestazione pro Gaza a Torino, a ottobre del 2009 (foto LaPresse)

I Cinque stelle, a Torino contro Israele, dimostrano la loro natura

David Allegranti

I grillini protestano contro il protocollo d’intesa firmato con l'Israel Innovation Authority e attaccano la Appendino

L’antisionismo è un riflesso pavloviano classico, una maschera usata per celare abbondanti rigurgiti antisemiti. Il non argomento di lorsignori – certa sinistra e i populisti – è noto: essere contro Israele non significa essere contro gli ebrei. Sbagliato: Israele è lo stato nato per accogliere e proteggere gli ebrei. Una dimostrazione pratica, e di grande evidenza, della pretestuosità degli attacchi a Israele si è vista oggi a Torino. Prevedibile, verrebbe da dire, conoscendo i soggetti in questione. Il gruppo consiliare del M5s, per bocca della sua capogruppo Valentina Sganga, ha violentemente attaccato Israele, cogliendo come occasione, o meglio come scusa, la firma da parte del comune di Torino guidato da Chiara Appendino di un protocollo d’intesa fra Torino City Lab e Israel Innovation Authority, istituto governativo che promuove ricerca e sviluppo per conto di uno stato che, secondo il Global Competitiveness Report del World Economic Forum 2016-2017, è il secondo più innovativo al mondo. “La Città di Torino”, ha detto la capogruppo del M5s, “si oppone a qualsiasi forma di oppressione del popolo palestinese e anche l’accordo di oggi è occasione per sottolineare la nostra contrarietà alla guerra che Israele fa contro la popolazione, guerra in cui sempre più la tecnologia è messa al servizio dei sistemi di sorveglianza e oppressione di Israele sui palestinesi”.

 

Questa sortita non deve stupire. Il M5s resta pur sempre il partito che ha eletto senatore Elio Lannutti, propugnatore via Twitter di bufale (ricorderete il famigerato tweet sui “Protocolli dei Savi di Sion”) e insulti antisemiti: “Le ong finanziate da Soros e altri ideologhi della sostituzione etnica, oltre a essere bandite dovranno essere affondate. Tolleranza zero”. A poco dunque serve applaudire Liliana Segre, votare a favore della commissione contro l’odio e darle la cittadinanza onoraria (anche a Torino). I Cinque stelle, semplicemente, non riescono a liberarsi del pesante fardello che condiziona una parte importante del movimento. Ma se questo è vero in termini generali, il caso dei Cinque stelle di Torino, espressione anche del peggior movimentismo da centro sociale, è pure più grave. Col risultato assurdo sotto il profilo politico di votare, in odio a Israele, contro il proprio stesso sindaco. “Il tentativo dei Cinque stelle di Torino di impedire un pacifico accordo scientifico fra la città e un’università israeliana”, dice al Foglio il semiologo Ugo Volli, “non mostra solo la reazionaria ideologia antiscientifica e antindustriale che caratterizza questo movimento, ma testimonia soprattutto il loro odio, tante volte espresso, per Israele, che si spiega solo con l’antisemitismo. I Cinque stelle sono amici e apologeti delle peggiori dittature, dal Venezuela all’Iran e alla Cina e detestano e diffamano chi in esse rischia la vita per avere un po’ di democrazia. Nessuna meraviglia che odino Israele, la sola democrazia del medio oriente”. Tutto questo accade a Torino, sede della terza comunità ebraica italiana, la città di Primo Levi, nonché quella che diede ospitalità alla famiglia Ginzburg, la città dove i primi ebrei giunsero nel XV secolo, in seguito all’espulsione degli ebrei dalla Francia, la città della Mole Antonelliana. Una storia lunga, forte e complessa, inevitabilmente dolorosa, che non merita certi falsificanti distinguo su Israele. Un ulteriore segnale della inconsistenza culturale del nostro populismo quando si tratta di maneggiare temi non negoziabili della nostra convivenza e dell’identità europea. Appare brutale la pretesa dei Cinque stelle di straparlare a nome di una città che forse amministrano, ma che certo non rispettano.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.