Le sardine come antidoto ai gilet gialli
La vera novità delle sardine non è la tecnica di aggregazione ma è un messaggio veicolato che oggi è unico in Europa: essere in piazza non contro il sistema ma contro gli anti sistema. Il modello anti girotondi è la chiave contro la decrescita
Prima Bologna e Modena. Poi Reggio Emilia, Rimini e Parma. Quindi Firenze e Milano. Probabilmente Torino. Forse anche Sorrento. A voler parafrasare la celebre poesia del 1897 dedicata da Giovanni Pascoli all’immagine di un aquilone – “c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole” – si potrebbe dire che gli splendidi fotogrammi consegnati negli ultimi giorni all’Italia dalle famose sardine emiliane non ricordano qualcosa d’antico ma ricordano qualcosa di nuovo. Diversi osservatori, negli ultimi giorni, hanno avuto la tentazione di utilizzare l’immagine delle sardine come se questa fosse capace di restituire emozioni fanciullesche simili a quelle descritte da Giovanni Pascoli di fronte all’aquilone. Ma per quanto possa essere una tentazione facile e consolatoria associare i ragazzi assiepati nelle piazze di Bologna e Modena ai volti che anni fa animavano il popolo dei girotondi e il popolo Viola – quando torna qualcosa di nuovo che sa di antico tutti ci sentiamo improvvisamente più giovani – in verità quello che non è ancora stato notato delle piazze emiliane è che i volti delle sardine esprimono non qualcosa di vecchio ma qualcosa di nuovo.
Nuovo per le modalità di aggregazione, e questo lo sappiamo. Ma nuovo anche per il tipo di messaggio veicolato che è diametralmente opposto a tutte le principali forme di partecipazione spontanea osservate in giro per il mondo negli ultimi anni. Di là, in giro per il mondo, ci sono spesso movimenti anti sistema dotati di gilet. Di qua, in Italia, ci sono movimenti che nascono con molti maglioncini e con pochi gilet – come successo anche a Torino nei giorni delle manifestazioni Sì Tav – e che si presentano oggi in antitesi aperta ai partiti anti sistema. Le splendide sardine non nascono però solo per difendersi da Salvini. Nascono anche per difendere alcuni simboli di un’Italia non ancora fagocitata dal populismo anti sistema. Dal punto di vista del contenitore, dunque, il qualcosa di nuovo delle sardine si presenta in forme evidenti quando si pensa al motore della mobilitazione, alla vivacità della protesta, alla grammatica dell’aggregazione. Dal punto di vista del contenuto invece le cose si complicano. E la ragione per cui nessun leader nazionale sembra avere la forza e la credibilità per potersi intestare le piazze ha a che fare con la principale differenza che esiste tra il messaggio veicolato dal popolo delle sardine e quello veicolato dai politici che tentano di mettersi alla guida di quel popolo. Da una parte, lato nazionale, vi è l’idea che sia sufficiente essere contro qualcuno per rappresentare qualcosa. Dall’altra, lato territoriale, vi è l’idea che per essere contro qualcuno sia necessario prima rappresentare qualcosa. Le sardine oggi, in modo magico e persino misterioso, hanno avuto la forza di conquistare un’identità grazie alla capacità di essere percepite come una novità. E da un certo punto di vista si può dire che quelle piazze non parlano solo a chi si trova oggi all’opposizione ma parlano anche a chi oggi si trova al governo. E a voler essere brutali potremmo metterla anche così: chi glielo dice ai politici fortemente desiderosi di respingere l’onda salviniana che la diga che le sardine stanno difendendo per esempio in Emilia-Romagna è stata costruita anche rinunciando al mastice marcio del grillismo?
Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, pochi giorni fa, proprio a Bologna, nel corso di un’assemblea convocata dal Pd, ha ricordato che trasformare la sfida in Emilia in una sfida nazionale è un errore da matita blu e ha spiegato bene le ragioni per cui difendere il modello Emilia significa indirettamente combattere alla radice non solo il salvinismo ma anche il modello irresponsabile della decrescita infelice.
“Il modello dell’Emilia-Romagna – ha detto Gori – è fondato innanzitutto sul lavoro e sull’occupazione. E’ il modello di una regione che in questi anni ha portato la disoccupazione dal 9 al 4,8 per cento. E un modello che vanta un tasso di occupazione del 71,3 per cento, il più alto del paese. E l’Emilia è una regione che ha saputo attivare investimenti per oltre 20 miliardi nelle opere pubbliche e nella mobilità, nella tutela del territorio e nella casa, nella ricerca tecnologica, nell’innovazione e nell’internazionalizzazione del sistema produttivo, nella formazione, nella Sanità e nel welfare. Investimenti pubblici e investimenti privati”. Combattere la povertà senza combattere la ricchezza. Occuparsi di come creare la torta prima di pensare a come redistribuirla. Considerare l’Europa una fonte di opportunità e non una sorgente di paura. Vedere nell’innovazione un alleato della crescita e non un nemico del presente.
Ricordarsi infine di non alimentare, rispetto al mondo delle imprese, la retorica farlocca del piccolo è bello (rispetto al 2012, anno successivo alla crisi economica, in Emilia-Romagna sono cresciuti sia la dimensione delle imprese sia il numero degli occupati: più 22 mila). E’ possibile che le sardine vengano malamente strumentalizzate e orrendamente trasformate. Ma se lo spirito con cui nei prossimi mesi andranno a occupare le piazze d’Italia sarà ancora gioioso, serio e non serioso come quello visto a Bologna e a Modena i nemici di Salvini avranno un alleato in più che gli permetterà di tenere a mente un concetto semplice: per rappresentare qualcosa non basta essere solo contro qualcuno.
storia di una metamorfosi