Come sono le sardine?
Politologi ed esperti, bolognesi e no, all’assaggio del nuovo movimento spontaneo di Bologna
Roma. “Quattro poveri cristi”. Così si sono definiti i ragazzi che, via Facebook, hanno convocato in pochi giorni la cosiddetta “piazza delle sardine” che giovedì sera, dopo aver gridato “Bologna non abbocca” e brandito pesci di carta, hanno cantato “Bella ciao” mentre Salvini faceva il suo comizio al PalaDozza. I quattro trentenni, scollegati dai partiti, rispondono al nome di Mattia Santori, esperto di mercati energetici, Roberto Morotti, ingegnere, Giulia Trappoloni, fisioterapista, e di Andrea Garreffa, guida turistica. Ma che piazza è, questa piazza così diversa dai “girotondi” dei primi Duemila?
E per il Pd è una risorsa o anche un motivo di inquietudine? Il politologo e sociologo Luca Ricolfi, docente universitario a Torino, è convinto che il cosiddetto popolo delle sardine “voterà a sinistra e sosterrà Stefano Bonaccini. Non vedo quali preoccupazioni possa avere il Pd”, dice, “salvo il fatto che – se ci saranno liste di sinistra alternative (tipo Verdi, liste civiche, Italia Viva) – una parte non trascurabile delle ‘sardine’ finirà per non votare Pd, che ormai è visto come il ‘partito del boh’ (copyright: Matteo Orfini), in quanto privo di identità e di proposte chiare. La piazza spontanea di Bologna mi pare la cartina di tornasole di quel che è diventata la sinistra in Italia: un mondo in sonno, che si risveglia soltanto quando qualcuno agita lo spettro del fascismo, del razzismo, dell’antisemitismo. Per chi, come me, pensa che una vera sinistra avrebbe ancora qualcosa da dire e da proporre (ad esempio in materia di occupazione), è molto demoralizzante constatare che il mondo progressista non sia più capace di manifestare per qualcosa, ma solo per impedire ad altri di farlo. Un chiaro segnale di immaturità democratica”.
Lo storico Giovanni Orsina, docente alla Luiss, ricorda il detto “piazze piene urne vuote”. Anche in Emilia, infatti, dice, “comincia a diffondersi la convinzione che dal nodo Salvini bisognerà passare e che l’inerzia lo farà vincere. Ma questa discesa in campo del cittadino in prima persona riflette anche la convinzione che l’opposizione sia debole. Il Pd finora ha puntato sulla ragionevolezza del messaggio ‘Bonaccini buon amministratore’, ma se poi si radicalizza seguendo la piazza e dimentica le istanze dei piccoli imprenditori rischia di non trarre giovamento dalla mobilitazione spontanea”.
Ma qual è, se c’è, il fatto politicamente e mediaticamente nuovo? Dice Andrea Minuz, docente universitario a Roma e scrittore: “Prima di tutto bisognerebbe capire quanti di quelli che stavano in piazza voteranno effettivamente in Emilia-Romagna. Bologna è una città di fuori-sede, dove ci si finge bolognesi dal lunedì al venerdì, poi nel fine settimana non trovi più nessuno perché pugliesi, calabresi e siciliani tornano a casa”. Ma c’è anche il bicchiere mezzo pieno, dice Minuz: “Sia la scelta del simbolo (con l’idea ironica di una ‘rivoluzione ittica’ che aggiorna e rende po’ più divertente la parata d’ordinanza antifascista modello Anpi col nonno partigiano), sia le modalità legate a Fb, sia l’età media degli organizzatori, sia i loro cv per niente militanti: mi sembrano una prima dimostrazione degli ‘effetti di Greta Thunberg’ sulle piazze e la nuova logica dell’impegno. Una logica progressista che sfugge all’inquadramento classico da Fgci; un’idea di società civile non appiattita su professoresse democratiche col golfino e scrittori di sessant’anni che abitano nella Ztl”. Per il Pd tutto è una sfida, dice Minuz, “anzitutto in termini di creatività, l’idea di provare a modernizzare la logica del ‘fronte antifascista’ tirato fuori senza mai interrogarsi se e quanto è ancora in grado di parlare a chi a meno di trent’anni. I girotondi senza Nanni Moretti & Co. non sarebbero esistiti (e comunque non hanno portato a nulla); il cambio di passo è una stagione di movimenti che creano dal loro interno dei giovani aspiranti leader riconosciuti come tali per le idee che mettono in gioco (tipo Greta), non perché sono scrittori, registi o pensatori”.
La piazza di giovedì, dice il vicedirettore della rivista il Mulino Bruno Simili, “non è la piazza del Pd. E’ una piazza fatta di molte voci, tra cui quella dei giovani che si riconoscono nelle istanze ecologiste portate avanti dall’ex eurodeputata Elly Schlein o nell’Italia in Comune Federico Pizzarotti, e quella dei cittadini che semplicemente hanno reagito all’occupazione salviniana del PalaDozza, considerato come un piccolo Madison Square Garden. E però, anche visto lo stacco generazionale, quella di giovedì non è una piazza anti partitica alla Beppe Grillo: non c’è più quel ricordo e quel sentimento del partito come male da combattere”. E’ però una piazza “profondamente politica”, dice Federico Tarquini, docente di Culture digitali: “C’è la condivisione di un’idea, anche se sono sono cambiate le forme di partecipazione. La partecipazione in questo caso non è schiacciata sulla ricerca del consenso, e si conforma alla modalità della rete: lo strumento crea le condizioni, nella continuità tra mondo virtuale e mondo reale, e la rete risponde a un bisogno di territorio politico”. Per Mauro Calise, docente di Scienza Politica e autore de “Il principe digitale” (Laterza), “il dato positivo è che questa volta, a sinistra, la rete è stata usata in modo tempestivo ed efficace. E’ un dato che promette bene, soprattutto nel quadro di elezioni regionali in cui il web è sempre stato meno presente. Il consenso di Salvini viaggia su un canale nuovo. Allora la domanda più importante rispetto all’Emilia-Romagna è: quanto funzionerà il nuovo canale sul fronte dell’opinione pubblica a sinistra?”.
storia di una metamorfosi