Paolo Gentiloni e i commissari dell'alleanza Socialisti e Democratici intonano "Bella Ciao" (screenshot da Youtube)

“Bella ciao”, il simpatico motivetto della società aperta che irrita (ovvio) Salvini

Maurizio Crippa

Non è "Fischia il vento". Se la Lega è antifascista che male c’è?

I ricordi cinefili a volte aiutano. Vidi in anni di liceo un (peraltro inguardabile) film di Theo Angelopoulos, “I giorni del ’36”, cupa e lenta storia di rivoluzionari comunisti nella Grecia pre dittatura di Metaxas. A un certo punto, si mettono a cantare una canzone di lotta partigiana: solo che il motivetto è quello di “Siamo andati alla caccia del leon”, canzoncina per bambini famosa negli asili italiani, almeno fino a quegli anni. Forse la canzone non è quella, forse il film neppure, forse era “La recita”: ma fa lo stesso. So che rimasi basito, o estasiato. Come una canzone dei comunisti del Pireo avesse attraversato il mare per diventare un motivetto per i bambini, nessuno può dirlo. Esattamente come nessuno sa dire dove e quando sia nata “Bella ciao”. Però “Bella ciao” ha fatto un viaggio inverso. Magari era un canto dalmata, o magari chi lo sa, può darsi che i partigiani non la cantarono, o forse sì. Ma alla fine è diventata un inno dell’antifascismo e della libertà (e siamo tutti antifascisti e per la libertà, no?). Poi è scivolata nel sentiment globale, e oggi la cantano tutti, i bambini e le sardine, i catalani e Gentiloni, come si fa alè oh-oh allo stadio: vuol dire giovinezza e fiducia, impegno e libertà. E allora, perché a Matteo Salvini dà tanto fastidio? 

 

 

 

  

 

Se andasse a guardarsi la storia di quella canzone, attraversando il mare ignoto della conoscenza, invece di dire che “è follia”, che “è uno spettacolo indegno” che dei commissari europei, fuori dall’orario di lavoro come direbbe il nazi prof. Castrucci, hanno cantato “Bella ciao”, scoprirebbe che è solo un inno globale alla democrazia, che unisce i cittadini che non vogliono le dittature (cioè tutti noi, no?) non solo in Italia. Perché dunque gli dà tanto fastidio? Se Salvini è antifascista, come tiene sempre a ribadire, che qualcuno canti una canzone simbolo dell’antifascismo lato sensu non dovrebbe turbarlo. Non hanno cantato “Fischia il vento”, l’“Internazionale”, e nemmeno “Morti di Reggio Emilia”.  

 

 

In un attimo di resipiscenza, Salvini ha del resto detto che “Bella Ciao è cantata a torto da una sola parte politica, mentre c’erano partigiani democristiani e federalisti”. Appunto. Ma se è di tanti (se non di tutti) il problema qual è? Eppure Salvini insiste che rimane di parte, “è come se noi ci fossimo messi a cantare canzoni di una parte o dell’altra in Consiglio dei ministri”. Ma di quale parte? Si può forse equiparare “La sagra di Giarabub” a una canzone che nel sentimento collettivo internazionale si associa alla lotta contro il nazifascismo, quella da cui è nata la Repubblica di cui Salvini è oggi senatore, e anche l’idea di Europa unita della quale Salvini è stato parlamentare? Niente, è che a Salvini l’innocuo e ormai ondivago motivetto fa venire l’orticaria. Un parroco l’ha fatto cantare a messa (saranno problemi suoi) e lui subito: “Bella ciao a messa… tutto a posto?”. 

 

 

Il punto è questo, ed è un poco più serio. Salvini è divisione, esiste solo se crea un “noi” che si sente indignato/assediato/derubato dalle banche tedesche che possa accusare “gli altri” di essere i nemici del popolo, i comunisti. “Bella ciao” – che pure parla genericamente di “invasore”, ci vorrebbe qualche trapper nazipop che ne facesse una versione sovranista – è una canzone che invece rimanda, oltre che alla libertà, a un’idea di valori aperti e condivisi, persino a un’idea di Europa. Troppa roba, per Matteo Salvini.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"