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La Stalingrado d'Italia

Salvatore Merlo

In Emilia il Pd prova a nascondere il Pd nazionale. Salvini a Bologna. Casini: “A Bonaccini serve il modello Guazzaloca”

Bologna. La campagna elettorale in Emilia-Romagna si apre con un’inversione dei ruoli, un gioco di specchi inebriante tra la sinistra e la Lega. “Se vinciamo cade il secondo Muro di Berlino. Cade il governo. Porterò il caffè corretto a Conte”, ripeterà stasera Matteo Salvini dal palco del PalaDozza di Bologna, dove il leader leghista intende dare l’abbrivio alla sua candidata Lucia Borgonzoni davanti a cinquemila sostenitori. “Noi parliamo dell’Emilia-Romagna, la nostra terra prima di tutto”, dice invece Stefano Bonaccini, il presidente ricandidato dal centrosinistra, circondato ieri da sei sindaci (non tutti del Pd e ci tengono molto a dirlo), tutti a testimoniare l’impegno territoriale, tutti riuniti in un capannone della Fiera, senza simboli, senza bandiere, lontano dunque dal partito di Nicola Zingaretti e dal governo di Giuseppe Conte.

 

E allora la sinistra si fa quasi leghista, cioè sindacato territoriale, lontana dai simboli e dalle liturgie romane, e invece la Lega avvolge ogni cosa di un significato nazionale e centralista. Tutto è possibile ormai. E c’è di che confondersi, a riprova che questi sono tempi imprevedibili, pieni di contropiedi. “Qua si vota Bonaccini. E se la volete sapere tutta, per me l’attuale governo se continua così è un disastro totale”, dice sorridendo il sindaco di Bologna, Virginio Merola, che ovviamente è del Pd. “La sinistra dovrebbe saper intercettare le istanze del nord e del ceto produttivo”, insiste, circondato com’è dalle tasse sulla plastica che allarmano gli industriali bolognesi, cioè proprio i leader mondiali degli imballaggi in plastica.

 

E si capisce così che la strategia adesso qui a Bologna impone alla sinistra gesti scapigliati e quasi secessionisti (in senso bossiano). Bonaccini è forse un candidato personalmente più forte e riconosciuto della sfidante Borgonzoni, e il bolognese medio a quanto pare ritiene che abbia ben governato. Eppure se queste elezioni diventassero un referendum sul governo nazionale, come vorrebbe Salvini, allora potrebbe cambiare tutto, il risultato potrebbe ribaltarsi clamorosamente. “Quindi ci vuole un’idea”, dice Pier Ferdinando Casini, che a Bologna è stato eletto senatore nelle liste del Pd. Ci vuole la mossa del cavallo. “Bonaccini deve fare come fece Guazzaloca con Berlusconi”, insiste l’ex presidente della Camera. “Sapete cosa fece Guazzaloca? Berlusconi gli mandò dei manifesti elettorali con la sua propria faccia stampata sopra, e Guazzaloca li buttò tutti nello scantinato”. Ecco quindi cosa dovrebbe fare Bonaccini. E non soltanto secondo Casini, ma probabilmente anche secondo l’intero centrosinistra emiliano-romagnolo: dovrebbe trattare Conte, il Pd nazionale e i suoi ministri alla stregua dell’insalata di Fukushima, una cosa da decontaminare come il latte e le carote, da isolare, mettere in quarantena, depositare in barili stagni in fondo al mare… e che i venti li disperdano, li portino lontano da noi, verso terre remote. Ma è possibile? Forse no.

 

E infatti già domani, in piena campagna elettorale, qui a Bologna spunterà – oplà – l’intero stato maggiore del Pd nazionale per la grande assemblea indetta da Zingaretti. “Guarda che tempismo”, celia il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Arriveranno dunque i ministri del governo Conte. In massa. Così la sovrapposizione dei volti di Franceschini e Gualtieri, Provenzano e Boccia, De Micheli e Guerini, con la barba argentata del povero Bonaccini, che rivendica come può i buoni risultati del suo governo e l’eccezionalità di una regione che ha retto malgrado la crisi, sarà forse inevitabile. Certo non sarà esattamente come la tragica fotografia di Narni, quella tra Zingaretti, Conte e Di Maio che portò malissimo al candidato in Umbria Vincenzo Bianconi, ma quasi. Poco ci manca. Non precisamente un regalo. “Si fa tutto a Bologna perché un tempo eravamo ‘il granaio’ del Pci, mentre adesso siamo ‘la logistica’: noi le sale le riempiamo sempre”, dice il sindaco Merola, con un gioco di mascella che forse segnala ironica inquietudine. Chissà. Tuttavia l’inquietudine è diffusa, a quanto pare, mentre Salvini trasforma queste elezioni regionali nella battaglia di Stalingrado, e tutti a Bologna sperano sia vero quello che si comincia a dire a Roma: Zingaretti è orientato a finirla qui con il governo. Questo sì che sarebbe un regalo per Bonaccini. Ma è poi vero?

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.