Andrea Marcucci (foto LaPresse)

Marcucci ci spiega perché “anche il proporzionale è una buona ipotesi”

Valerio Valentini

“Io preferisco il doppio turno, ma l’importante è non ritardare sulla legge elettorale”. Parla il capogruppo del Pd al Senato

Roma. Quando, al termine della chiacchierata, gli si chiede di trovare una formula riassuntiva, Andrea Marcucci si sofferma a riflettere. “Mettiamola così”, dice poi. “C’è un’ipotesi preferibile, e un’altra che è comunque possibile”. Le ipotesi, nella fattispecie, riguardano la legge elettorale. “Io, personalmente, propenderei per il doppio turno, una legge che ricorda quella dei sindaci e che offre tre vantaggi: garantisce rappresentanza anche ai piccoli partiti, avendo uno sbarramento basso; assicura, al contempo, una accettabile governabilità; consente ai cittadini di scegliere, loro, la possibile maggioranza di governo”. E però? “E però – ammette il capogruppo del Pd al Senato – dal vertice di maggioranza di mercoledì ho maturato l’impressione che su questa ipotesi non tutti i partiti sarebbero d’accordo”. 

 

Che poi è un modo diplomatico per riconoscere che no, il M5s dalla sua idea di varare un sistema proporzionale che gli consenta di tenersi le mani libere e non doversi schierare a priori, non si smuove. E’ un problema? “Non direi. Perché anche l’altra opzione discussa, quella di un proporzionale che abbia una soglia di sbarramento rilevante, mi sembra una buona soluzione. Su cui, ovviamente, dovremo confrontarci e ragionare in merito ai correttivi necessari per evitare il proliferare di partitini che produrrebbe il caos in Parlamento e l’ingovernabilità. In ogni caso, il doppio turno presenta un vantaggio, specie nell’ottica di chi vuole valorizzare il mandato popolare: perché, se nessuno supera il 50 per cento al primo turno, nel ballottaggio sarebbero gli elettori a indicare la coalizione vincente, e dunque la futura maggioranza di governo”.

 

Al contempo, però, questo sistema potrebbe incentivare quell’amalgama tra Pd e M5s che alcuni padri nobili del centrosinistra invocano, e che però non sembra si stia realizzando granché, in questa coabitazione un po’ forzosa al governo. “In verità questo è un governo in cui tutti noi del Pd crediamo. E devo dire che ora che al Senato si sta entrando nel vivo della discussione sulla legge di Bilancio, che i lavori parlamentari procedono con una sintonia assai maggiore di quella che lasciano ipotizzare alcuni pezzi giornalistici di colore. Ma non credo che sarà la salute della maggioranza di governo a determinare la scelta sulla legge elettorale. Se non altro per una mera questione di tempo: la legge elettorale verrà incardinata alla Camera entro metà dicembre, quando nessun giudizio definitivo sull’azione di questo esecutivo potrà essere ancora dato”.

 

Perché questa fretta? “Perché sarebbe sbagliato, anzi sbagliatissimo, scrivere una legge elettorale a ridosso della chiamata alle urne. Bisogna farla ora, anzi, proprio nella consapevolezza che non si andrà a votare a breve termine, così da evitare che a prevalere siano le convenienze del momento di questo o di quel partito. Non a caso, una volta che si troverà un’intesa di massima nella maggioranza, dovremo coinvolgere anche le opposizioni nel dibattito”. E’ un’allusione al tavolo delle riforme evocato da Giancarlo Giorgetti? “E’ il rispetto della democrazia parlamentare. Quanto a Giorgetti, è evidente che ci sono persone di buonsenso in tutti gli schieramenti: il suo ragionamento è interessante, se poi sia condiviso o meno anche da Matteo Salvini, non sta a me dirlo”. E’ un ragionamento, però, che esclude l’ipotesi di un rapido precipitare verso lo scioglimento delle Camere. “In questi casi, vale un po’ il principio della carta carbone. Quelli che considerano probabile, o imminente, il ritorno alle urne, sono in realtà quelli che vorrebbero andare a votare”.

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