Gli esponenti della maggioranza riuniti alla Camera per discutere della legge elettorale (foto LaPresse)

L'accordo sul proporzionale c'è. Ma il Pd è diviso

Valerio Valentini

Alla Camera prima riunione dei partiti della maggioranza per discutere della nuova legge elettorale. Obiettivo: incardinare un testo a Montecitorio tra il 16 e il 20 dicembre

S’è deciso di fare sul serio, almeno su questo, anche se, ufficialmente, ci si è limitati solo a escludere le soluzioni estreme: e dunque né proporzionale puro, né collegi uninominali. Ma al di là dei formalismi, il vertice di maggioranza svoltosi alla Camera, sotto la regia del ministro Federico D’Incà, ha partorito un accordo che traccia già i connotati della prossima legge elettorale.

 

Di fatto, s’imbocca la via del proporzionale, e lo si fa anche con una certa solerzia, visto che si è stabilito di incardinare un testo alla Camera tra il 16 e il 20 dicembre. Un mese, dunque, per ragionare sui correttivi, ma i contorni del dibattito sono già chiari. Le opzioni sono due (a meno di volere includere anche il modello spagnolo, caro però solo ad Andrea Orlando). Da un lato c’è un proporzionale con sbarramento alto, pari al 5 per cento, che metterebbe d’accordo M5s e Italia viva e lascerebbe in parte deluso Leu, che preferirebbe una soglia più bassa.

 

E il Pd? Qui sta il punto. Una parte dei democratici, specie quelli di Base Riformista rappresentati alla riunione da Andrea Marcucci, accoglierebbe con favore questa soluzione; Zingaretti invece, e con lui anche chi s’affida alla perizia di Stefano Ceccanti, guarda con favore all’ipotesi di un doppio turno con premio di maggioranza alle coalizioni analogo a quello in vigore nei comuni medio grandi. Una opzione, questa, al momento minoritaria, ma che, nell’ottica del Nazareno, diventerà obbligata quando si fisserà la tagliola del 5 per cento. “A quel punto, sia Leu sia Iv – ragionano nel Pd – convergeranno sul doppio turno, dove lo sbarramento è più basso”. E però questo sistema imporrebbe di allestire delle coalizioni prima del voto: insomma renderebbe necessaria la creazione di quel centrosinistra demogrillino vagheggiato da Franceschini. Ci si arriverà? Difficile. Sia perché le tribolazioni quotidiane della convivenza col M5s stanno facendo desistere i dem dalla tentazione dell’alleanza organica, e sia perché Di Maio e soci non vogliono affatto legarsi in modo indissolubile al Pd. 

Di più su questi argomenti: