Da sinistra Roberto Speranza, Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Il cerino dell'alleanza rossogialla

Salvatore Merlo

Ora il Pd teme per l’Emilia-Romagna: “Ci giochiamo il governo come nel 2000”. E Zingaretti pressa Di Maio (che si sfila)

Roma. Insistere, insistere, insistere. Malgrado tutto, malgrado la sconfitta in Umbria, malgrado i sondaggi pessimi in Emilia-Romagna che danno il centrodestra in vantaggio di circa dieci punti, e malgrado Luigi Di Maio abbia dichiarato apparentemente senz’appello che “l’esperimento è fallito”. Ma il Pd non vede alternative. “L’onda di destra si ferma con il buon governo e con l’allargamento e l’apertura delle alleanze”, ha scritto ieri su Twitter Dario Franceschini, il primo teorico dell’alleanza con il M5s. All’incirca quello che pensa Nicola Zingaretti, il segretario (“bisogna verificare la possibilità di convergenze, senza imporre nulla”).

 

E così, nel suo studio in regione, il presidente dell’Emilia, il democratico Stefano Bonaccini, in queste ore riflette addirittura su un’ipotesi – in previsione delle elezioni che si terranno il 26 gennaio – che fa saltare i nervi ai suoi sostenitori delle liste civiche, di orientamento centrista, quelli che dovrebbero entrare nella lista elettorale del presidente, quella che nello schema di Zingaretti e Franceschini dovrebbe completare l’offerta larga di centrosinistra accanto alla lista del Pd, a quella della sinistra più radicale, dei Verdi e dei Cinque stelle. Ha lanciato ieri un appello, Bonaccini, lui che domenica, mentre si votava in Umbria, era a inaugurare un campetto di calcio a Rimini assieme ai parlamentari grillini Giulia Sarti e Marco Croatti: “Se non si vuole consegnare l'intero Paese agli altri bisogna mettersi insieme. Insieme per le cose da fare, non contro qualcuno”. Bonaccini vuole far sapere ai ragazzi del Movimento, che addirittura pensano di non presentarsi nemmeno alle elezioni emiliane di gennaio come hanno fatto in Sardegna a febbraio di quest’anno, che per loro la porta resta aperta. Sempre. “Un errore”, digrignava i denti ieri Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma, che pure appoggia Bonaccini. “Bisognerebbe invece prendere le distanze dal Movimento cinque stelle”, insisteva Pizzarotti parlando con dei suoi amici. “Bisogna allontanarsi dal governo delle tasse che spaventa il ceto produttivo. Bonaccini ha governato bene, l’Emilia non è in crisi come altre regioni. A maggior ragione bisogna rendersi autonomi da questo governo delle tasse e dai grillini che vogliono ammanettare gli evasori fiscali e i lavoratori autonomi”.

 

Ma Zingaretti non può cambiare spartito, non più. E’ troppo tardi, pensano a Roma. E infatti nel Pd adesso, lontano dai taccuini, a microfoni spenti, parlano di “vicolo cieco”. Dunque bisogna insistere con i Cinque stelle, andare avanti a ogni costo, anche a rischio di sembrare patetici. Perché “se a gennaio perdiamo l’Emilia il contraccolpo andrà al di là dell’immaginazione, oltre quello che una persona di sinistra può digerire. E aprirà alla destra anche le porte della Toscana”, dove si vota in primavera. “Un piano inclinato che non fermi più”, dice un ministro molto vicino al segretario del Pd: “Anche il governo sarà a quel punto a rischio”. Come nel 2000. Anzi peggio del 2000, quando il governo di Massimo D’Alema cadde per effetto di elezioni regionali che pure non furono una totale débâcle. “La vittoria in Emilia vale come la presa del Palazzo d’Inverno”, scherzava infatti ieri Giancarlo Giorgetti, il gran leghista, che adesso ci crede. Ed è quello che pensano anche Zingaretti e Franceschini, Andrea Orlando e Maurizio Martina. Dunque bisogna insistere, sperare, marciare ordinati anche verso una probabile sconfitta. Ecco perché Bonaccini si è rivolto direttamente al M5s. Ma come si fa a chiedere a Di Maio di insistere nell’alleanza? I grillini dimezzano i voti a ogni tornata. In Umbria avevano il 27,5 (alle politiche del 2018), poi hanno preso il 14,8 (alle europee del 2019), e adesso hanno preso il 7,4… “la prossima volta che succede, scompariamo?”, è la battuta che viene attribuita ad Alessandro Di Battista. 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.