Matteo Salvini (foto LaPresse)

Cosa sta imparando Salvini a Bologna e perché è un guaio per il Pd

Fabio Massa

Il leader leghista sta mettendo a punto una ricetta che poi potrà essere usata nella città per lui più ostica e da lui più amata, quella Milano che il Carroccio non è mai riuscito davvero a espugnare

C’è una lezione che Matteo Salvini sta imparando in Emilia-Romagna. Non dalle sardine, cui dopo un attimo di smarrimento (mediatico) ha risposto con i gattini (che si mangiano i pesciolini). Non la sta imparando neppure dal Partito democratico, che ha paura, tanta, di perdere finendo in un auto-avvitamento da brividi. Non la sta imparando da Bonaccini, che ha più paura dei leader Pd che manco degli sfollagente. Salvini sta imparando da se stesso, o dagli errori dell’estate al mojito. Sta imparando, per un futuro non lontano a Milano, da una campagna elettorale che per la prima volta ha impostato in modo diverso dal solito. In piazza i toni sono assai meno accesi sul tema sicurezza, che comunque persiste poiché è un bisogno condiviso. I tasti che il leader leghista pigia sono quelli della difesa del prodotto italiano dagli attacchi esterni e dai disastri di governo, siano questi la tassa sulla plastica (un asset importante in quella regione), o gli scenari mondiali, pure causati da Trump e Putin, che Salvini ha mostrato di apprezzare. Insiste, Matteo Salvini, sull’efficacia del governo regionale, che ha ben operato ma che deve cambiare. Perché cambiare è meglio: concetto semplice, non per forza aristotelico, ma ripetuto allo sfinimento. L’Emilia-Romagna deve cambiare per liberarsi e avere aria nuova. E intanto va a trovare Matteo Maria Zuppi, l’arcivescovo di Bologna, legato alla comunità di Sant’Egidio, attivissima sul fronte dei migranti. Lo staff di Salvini tiene riservatissimo l’incontro, e così massimizza i vantaggi: il mondo cattolico, nel mainstream di sinistra e sospettoso, ma non c’è solo quello, intravede un leader comunque dialogante, grazie anche alle parole di Ruini. Che sia una strategia lo dimostra il fatto che Matteo Salvini lo ha già fatto con Liliana Segre, a Milano. Incontro riservato, dai contenuti assai modesti, ma simbolico. 

 

E’ chiaro che il leader leghista sta mettendo a punto una ricetta che poi potrà essere usata nella città per lui più ostica e da lui più amata, quella Milano che il Carroccio non è mai riuscito davvero a espugnare, se non per la vittoria del tutto casuale post Tangentopoli. Il doppio binario del populismo e della moderazione può funzionare anche per le comunali del 2021, ma sarà complicato. Dentro la cerchia dei bastioni il messaggio dovrebbe essere sui diritti, sulla vocazione imprenditoriale, sull’economia. Fuori dai bastioni, invece, sull’abbandono da parte dell’amministrazione cittadina, puntando il dito sulle situazioni di degrado. Intorno a lui non una squadra, ma due: una per gestire la comunicazione e le relazioni con le periferie, l’altra per aumentare il consenso nei mondi che tradizionalmente gli sono ostili e che non sopportano messaggi trumpisti, putiniani e sovranisti in genere, ma che soprattutto guardano l’economia e il business della Capitale economica, e molto spesso hanno la partita Iva.

 

Poi c’è l’altro campo, gli avversari. Il Partito democratico, oggi, è pronto a fronteggiare una strategia del genere? E soprattutto: in che punto dell’arco politico si collocherà, considerato che la mattonella che calpesta, sotto la Madonnina, è esattamente la stessa su cui spinge per appostarsi Italia viva di Matteo Renzi? Difficile ipotizzare che ci siano due corse separate, in solitaria, tra Iv e Pd. Sarebbe una corsa suicida. Ma come differenziare i messaggi? E’ accettabile, per Iv e Pd, avere insieme la stessa percentuale di voti di quando si era un’unica grande famiglia (infelice)? Secondo i sondaggisti, a Milano Italia viva ha un bacino elettorale potenziale doppio rispetto al resto d’Italia. L’ultima volta, nel 2016, i dem hanno sfiorato quota 30 per cento alle urne. Se davvero Italia viva dovesse attestarsi, come raccontano i sondaggi, tra il 6 e il 10 per cento a livello nazionale, su Milano potrebbe agevolmente toccare il 15. Il che vorrebbe dire dimezzare il partito d’origine, che nel frattempo si è spostato più a sinistra, dalle parti di Zingaretti. Non una bella prospettiva. Poi c’è la sinistra ex arancione-Pisapia, che guarda alla possibilità di diventare la nuova lista Sala. Chissà. E in mezzo a tutto questo, nel caso di conferma della ricandidatura, c’è Appunto Beppe Sala: che per reggere l’urto della destra-centro (la volta scorsa con centro-destra di Parisi non fu una passeggiata) ha bisogno che il corpaccione del Pd, con tanto di arancioni e pure le nuove sardine, tenga botta. Ma ha anche bisogno del sostegno delle idee, molto più consone alle sue e al suo modo di intendere il governo della città, del partito di Matteo Renzi.