Girotondo di opinioni

Come lo facciamo l'argine?

Elezioni sì, elezioni no. Differenti strategie per fermare il (possibile) governo a guida truce. Senza dimenticare le cose che contano: Europa, bilancio, Iva

Non votare per fermare il Capitano

Elezioni sì o no? Io sono per il no, senza esitazioni. E non c’entra il riflesso condizionato del deputato che non vuole mai andare al voto: quello è uno stato d’animo comprensibile come la paura di ogni esame. Qui invece il tema è profondamente politico. E sono contrario al voto per due motivi. Uno – il più importante – nell’interesse del paese. L’altro – secondario ma non irrilevante – nell’interesse della mia parte politica. Partiamo ovviamente dal primo: il paese proviene dallo stress della cura gialloverde, fatta di promesse di spesa pubblica e alambicchi di bilancio, con la colonna sonora di una campagna elettorale permanente inventata da un finto ministro dell’Interno che ha riparato i guai di un partito in bolletta usando mezzi e strutture dello stato. Attribuire i danni ai soli gialli è un falso storico: il governo populista l’ha voluto Salvini rifiutando un incarico anche esplorativo, impedendo a Berlusconi di favorire un allargamento del centrodestra, rifiutando anche di tornare subito al voto. Salvini non è il rimedio ma la causa del caos, e al paese non serve affidargli il governo. Qualsiasi governo è migliore di un finto centrodestra a guida Salvini. E tra i due populismi giallo e verde, oggi il più innocuo è quello giallo, ammaccato e inoffensivo. La proposta di Renzi, emendabile, ci dà l’ultima possibilità di riforme decenti, con un governo di raffreddamento atto a sbollentare il Capitano andato su di giri.

  

Vengo al secondo motivo – di parte – del mio no alle elezioni. Sono l’ultimo e più fedele dei soci fondatori del centrodestra del ’95, nato dalla scissione del Ppi. La sinistra dc aggrediva il “cavaliere nero”, come amavano chiamare Berlusconi; io ribattevo a Mattarella che Berlusconi era una protesi della Dc, e bisognava riunire i pezzi. Ho avuto ragione io: Silvio è un leader del Ppe, dove ha preso il posto della Dc. Gli sono venuti meno i voti, per una serie di motivi che sarebbe lungo ricercare. Io resto democristiano e berlusconiano. E Salvini non può essere il nostro erede. Non vuole esserlo. Non deve esserlo. Rappresenta una base sociale che Mussolini declinò in modo carismatico e non democratico, la Dc in modo collegiale e democratico, Berlusconi in modo carismatico e democratico. Salvini si fa chiamare Capitano, propone una declinazione militare e meta-democratica, alla Putin. Io se posso fermarlo, lo fermo.

Gianfranco Rotondi

 

Tutti contro Salvini? Solo un danno

Ha senso costruire una conventio ad excludendum nei confronti della Lega che eviti le elezioni anticipate e dia vita a un governo istituzionale? Per la salute della democrazia italiana è probabilmente più dannoso un governo debole, costruito sulla mera sopravvivenza parlamentare, che metta all’opposizione il primo partito italiano senza passare dalle urne. Il Movimento cinque stelle, il Pd e Forza Italia non hanno, per storia e per idee, nulla in comune che non sia l’avversione per Salvini sommata all’istinto di conservazione del seggio. Un esecutivo siffatto avrebbe forse i numeri in Parlamento, ma difficilmente sarebbe capace di esprimere un riformismo credibile nei prossimi anni. Potrebbe ridurre i parlamentari, meta finale del grillismo, a cui necessariamente conseguirebbe una legge elettorale proporzionale. Quest’ultima diminuirebbe ulteriormente la stabilità e la compattezza dei futuri governi. Inoltre, un tale scenario garantirebbe a Salvini la possibilità di gridare al gran complotto e di cavalcare l’antipolitica. Il dibattito pubblico diverrebbe ancor più inquinato e truce. C’è chi sostiene che si possa formare un esecutivo a tempo, scadenza inizio 2020, ma sarebbe soltanto un piacere servito alla destra. A Salvini, infatti, si eviterebbe l’incombenza di una legge di bilancio difficile per poi offrirgli la possibilità di cavalcare il malcontento alle urne e fare il pieno. Meglio votare subito, a Mattarella la scelta di come arrivare alle elezioni, e riorganizzare il quadro politico. Nascerebbe probabilmente un governo solido, ma costretto ad assumersi le incombenti responsabilità fiscali. Mentre le opposizioni potrebbero differenziarsi tra loro, invece di ammucchiarsi, e ricostruire il proprio consenso, anche dando vita a nuovi esperimenti. Salvini, però, se vuole le elezioni dovrebbe agevolare il processo: dimettersi, cancellare l’uscita dall’euro dal programma elettorale, accordarsi prima del voto col resto del centrodestra.

  

Lorenzo Castellani

  

Un altro governo, già respiro meglio

Ci sono momenti in cui mi sembra già che Matteo Salvini sia un ex ministro. Un leone in gabbia in giro per le spiagge – sulle quali da qualche giorno, avrete notato, i media cominciano a raccontare di qualche contestazione – col suo tour del livore e della blasfemia, a rivendicare la sua impotente sfida (già persa) all’Europa e a più di mezza Italia, quella che non lo vota. Un ex ministro senza navi da bloccare, senza divise da sfoggiare, senza moto d’acqua della polizia da far cavalcare. In quei momenti, anche se fa ancora caldo, respiro meglio. Ogni giorno, settimana, mese che passa così è una medicina per l’Italia: senza la poltrona, senza alleati a cui dare la colpa di tutto, il Truce si sgonfia. Strepiterà, minaccerà, twitterà, si farà i selfie con i fan – va bene. Non sarà difficilissimo rispondergli: ma che vuole questo? Non ha combinato niente. In Europa manco gli rispondono al telefono. In Italia ha fatto tanto lo smargiasso e non ha nemmeno ottenuto le elezioni. Ha fatto l’errore della sua vita, ciao. Un altro governo, con qualunque formula (viva Mattarella), mi va bene. Mi va bene nonostante Renzi – chi se ne importa di Renzi. Vuole tempo per farsi il partitino? Lo faccia: la sua intervista di domenica è già – tecnicamente – una scissione. L’unità di un partito, caro segretario Zingaretti, è una bella cosa, ma è un mezzo, non può essere un fine. E come sai bene tu – che hai convocato una costituente per novembre – il centrosinistra non è in condizione di fermare Salvini alle urne adesso. Cominciare ad abbattere il muro di alterigia costruito dai professionisti dei popcorn potrà farci solo bene.

 

Chiara Geloni

 

Europa e Bilancio: questo conta

Questa crisi di governo capita in un momento delicato per il paese perché in prossimità di due importanti scadenze: bisogna concludere il ciclo delle nomine europee con la designazione entro il 26 agosto di un commissario italiano, entro il 20 ottobre andrà presentata a Bruxelles la manovra di bilancio. Allora, nell’attesa che si decida se andare al voto o meno e in che tempi, serve un richiamo al senso di responsabilità di tutte le forze politiche su questi due passaggi chiave. Bisogna indicare rapidamente il commissario europeo, rivendicando un portafoglio economico di peso: Commercio o Concorrenza. Il tema sembra sparito dai radar in questi giorni. Invece il 26 agosto si avvicina e mentre la gran parte dei governi ha provveduto e sta già negoziando le deleghe, noi rischiamo di restare ai margini. Allo stesso tempo, si lavori fin da subito sulla legge di bilancio, anticipando il calendario normalmente previsto per sottrarre questo passaggio all’incertezza dei prossimi mesi. I tavoli tra parti sociali e governo hanno fornito molti spunti e un chiaro orientamento: bisogna disinnescare le clausole di salvaguardia Iva, se non vogliamo che l’attuale stagnazione si trasformi in recessione, e, nel rispetto delle regole europee, imprimere un chiaro orientamento pro crescita con misure volte a tagliare il cuneo fiscale sul lavoro, sostenere gli investimenti privati e puntare su quelli pubblici in infrastrutture. L’economia non può aspettare i tempi e le evoluzioni della politica. Infine, ma non per importanza, non mettere mai in dubbio l’appartenenza all’euro e all’Unione europea, né tanto meno minacciare sforamenti del deficit, che avrebbero il solo effetto di minare la nostra affidabilità sui mercati, aumentando i costi di finanziamento del debito pubblico e di quello privato, a carico di famiglie e imprese. Insomma, aspettiamo che il Parlamento decida sugli esiti della crisi, ma sottraiamo le due questioni cruciali per il paese ai tempi e alle incertezze di questa situazione politica.

 

Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria

  

Riflessione sul rischio aumento Iva

Scenario. Nel secondo trimestre del 2019, la nostra economia non è cresciuta: crescita zero, dunque, per la domanda interna e crescita zero anche per la domanda estera netta. Quanto allo scenario internazionale, i rischi della guerra commerciale tra Washington e Pechino alimentano i venti della recessione. In Europa, poi, l’impatto della Brexit ed i timori di una recessione tecnica in Germania nel secondo e nel terzo trimestre del 2019 non possono certo indurre all’ottimismo. La crisi politica dell’esperienza di governo gialloverde si colloca, dunque, in una fase congiunturale estremamente critica. L’allarme è giustificato: perché – come testimonia l’andamento dello spread e dei mercati finanziari – non ci verranno certamente fatti sconti. Per questo, occorre fare presto e bene.

 

Sulla crisi del governo. Possiamo far conto sulla guida del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la salvaguardia degli interessi fondamentali del paese. Per parte nostra, rivolgiamo un appello a tutte le forze politiche: serve piena consapevolezza della responsabilità comune di procedere alle scelte necessarie per mettere in sicurezza le prospettive della nostra economia, a partire dal blocco degli aumenti Iva previsti a legislazione vigente.

  

Bloccare gli aumenti Iva. I dati sono noti: oltre 50 miliardi di aumenti per cento tra il 2020 e il 2021. Nel 2020, l’aliquota per cento ordinaria si impennerebbe dal 22 per cento al 25,2 per cento; l’aliquota ridotta balzerebbe dal 10 per cento al 13 per cento : cioè, su base annua, 382 euro di incrementi Iva pro-capite e circa 889 euro di incrementi Iva per ciascun nucleo familiare. Abbiamo stimato che, sempre nel 2020, l’incremento del prelievo Iva di 23 miliardi determinerebbe una contrazione dei consumi tra gli 11 ed i 18 miliardi. La spesa delle famiglie diminuirebbe così tra l’1,1 e l’1,8 per cento. E il Pil avrebbe un calo di circa mezzo punto percentuale. Insomma, gli aumenti Iva avrebbero un impatto economico fortemente recessivo ed un impatto fiscale regressivo: perché a pagare di più sarebbero i livelli di reddito più bassi. Ecco, dunque, cosa significa, dal nostro punto di vista, fare presto e bene: evitare l’esercizio provvisorio e disinnescare gli aumenti Iva. Come ? Ristrutturazione di spesa pubblica per sanare inefficienze e sprechi, contrasto e recupero di evasione ed elusione, impulso alla crescita e negoziazione in sede europea di un’accorta flessibilità di bilancio. Insomma, non c’è davvero tempo da perdere: servono scelte chiare e tempestive.

 

La prossima legge di Bilancio. Perché – oltre al disinnesco della mina degli aumenti IVA – resta in carico alla prossima legge di bilancio il compito di rimettere in moto la nostra economia. E, in questo modo, di assicurare anche il buon andamento dei conti pubblici. Vanno perseguite tre fondamentali linee d’azione: riduzione della pressione fiscale a carico dei contribuenti in regola attraverso la revisione delle aliquote legali Irpef e la riduzione del cuneo sul costo del lavoro; sostegno all’innovazione; migliori infrastrutture. Ecco bisogna mobilitare investimenti privati ed investimenti pubblici. La Germania, ad esempio, si prepara ad effettuare, nei prossimi anni, investimenti in istruzione ed in ricerca e sviluppo per oltre 100 miliardi. Va, allora, confermato e potenziato il piano Impresa 4.0. Ma, al contempo, questo piano va riformato. Per renderlo più a misura di piccole e medie imprese e più accessibile da parte dell’economia dei servizi. Da qui, infatti, potrebbero venire forti incrementi di produttività. Basti pensare – è solo un esempio – alle potenzialità dell’offerta turistica del nostro Mezzogiorno. Ma servono programmazione e ragionevoli risorse: questo è appunto il compito di una buona legge di bilancio.

 

Il rischio dell’esercizio provvisorio. Non ci convincono, allora, le letture che iniziano a minimizzare l’impatto dell’eventuale esercizio provvisorio: le spese sarebbero necessariamente contenute, ma gli aumenti Iva scatterebbero e gli investimenti sarebbero del tutto bloccati. Ed invece serve investire – investire di più e meglio – perché possiamo e dobbiamo crescere di più e meglio. Trasformando stanziamenti programmatici per opere infrastrutturali superiori ai 100 miliardi di euro in cantieri effettivamente aperti. E rilanciando, in Europa, il negoziato sulla possibilità di non computare nel deficit rilevante ai fini del Patto di stabilità e crescita le spese effettuate per il cofinanziamento di investimenti strategici. Conclusione: servono una buona legge di bilancio ed un Governo che lavori perché Italia ed Europa crescano insieme di più e meglio.

 

Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio

 

Fare politica: denunciare il loro flop

A poco più di un anno dalla sua formazione, il governo Salvini-di Maio va in frantumi (no, il disturbo non lo toglie: quello starà con noi a lungo). La presentazione di una mozione di sfiducia da parte di uno dei contraenti il famigerato Contratto non deve trarre in inganno: a travolgere il governo non sono state le divisioni tra Lega e Movimento cinque stelle. E’ stata l’incompatibilità tra la realtà della settima potenza economica del mondo e le fondamenta del Contratto: ostilità alla democrazia liberale e favore per chi la considera “obsoleta”. Ostilità all’Unione europea e favore per chi la vuole distruggere. Ostilità per la consolidata collocazione internazionale del paese e concorso con chi intende favorirne il rovesciamento. Com’è facile constatare, tutta roba un po’ più “forte” della Tav. Nessuno di questi tre pilastri del Contratto è figlio dell’imposizione da parte di uno dei contraenti sull’altro: come ha messo analiticamente in evidenza il direttore Cerasa sul Foglio del 12 agosto, queste tre “ostilità” hanno radici ben piantate nella cultura politica di entrambi i partiti e ne hanno via via ispirato gli atti di governo, quale che fosse il leader cui ciascuno di questi ultimi era più direttamente ascrivibile. Anche quando si è trattato di mettere in atto qualche correzione ispirata a realistica moderazione (dal 2,4 per cento del deficit “balconaro” al 2,04 per cento prenatalizio), né Salvini, né Di Maio hanno scelto di farsene apertamente promotori, nascondendosi dietro i cedimenti di Tria, descritto come più arrendevole ai diktat di Bruxelles. Dunque, ben al di là delle pur significative differenze, comune è stato il progetto politico – il governo del popolo contro le élites colpevoli di ogni male – profonda la condivisione delle scelte fondamentali, comune la responsabilità del tragico fallimento. Per il Pd, la forza di opposizione che non nutre progetti di collaborazione strategica con nessuno dei due partiti nazionalpopulisti, non dovrebbe essere difficile, dinnanzi a tanta evidenza, denunciare di fronte ai cittadini l’enormità del disastro prodotto in così poco tempo. No, non si tratta di cosa scontata, né di mera tattica. Il disegno di Salvini è infatti chiaro: scrollarsi di dosso la responsabilità del fallimento, scaricandola sul malconcio alleato. Per poi chiedere “pieni poteri” per realizzare un programma – da Quota 100 estesa al dopo 2022, alla flat tax in deficit per tutti, fino a “io mi trovo meglio qui (a Mosca) che in Italia”, molto simile, se non identico, a quello che ha ispirato l’azione di governo degli ultimi quindici mesi. Esattamente il programma che lo stesso Salvini ha illustrato alle parti sociali negli incontri al Viminale di queste ultime settimane. Un programma puramente e semplicemente incompatibile con la permanenza dell’Italia nell’euro e dunque nell’Unione europea. Uscire dall’Europa, naturalmente senza dirlo. Senza una implacabile azione di denuncia delle responsabilità di entrambi i partner di governo per il disastro provocato, il giochino può addirittura riuscirgli.

 

E’ quello che il Pd sta facendo? A noi non sembra proprio: le prime pagine dei giornali e i titoli dei telegiornali erano ieri dedicati alla “spaccatura” del Pd, tra governo per il breve, che fa la legge di Bilancio, la riforma costituzionale e la legge elettorale (?); e governo di legislatura, che fa molto di più (?).Uno spettacolo desolante, a tutto vantaggio di chi si vuole o si dovrebbe combattere (Salvini e di Maio). Noi non proponiamo di disinteressarci di ciò che avverrà dopo la formalizzazione della crisi in Parlamento. Proponiamo semplicemente di dedicare questa fase a costruire nel paese quella evidenza che oggi non c’è: quella del disastroso fallimento di Lega e Movimento cinque stelle. Per poi impegnarci a cooperare attivamente con il Presidente Mattarella, su cui il paese può contare per non soccombere al disastro del governo dei vicepremier. Per il resto, richiedendo che al paese sia fornita una sola, imprescindibile garanzia: il governo il cui ministro dell’Interno chiede di avere “pieni poteri” non garantisce a nessun italiano – neppure a quelli che votano Lega o M5s – di guidare con equilibrio una campagna elettorale difficile come quella che ci attende. Ciò che potrebbe perfettamente fare un governo super partes, vocato esclusivamente a fornire questa garanzia.

 

Enrico Morando, Giorgio Tonini

Elezioni sì, governicchio no

Elezioni sì. Un governo istituzionale, un governo cioè di responsabilità nazionale che riporti il paese con i piedi per terra e che, soprattutto, sia davvero avvertito come un governo del presidente a vantaggio del paese, non mi sembra realizzabile. Salvini non aspetta altro che un bel governicchio di salute pubblica con dentro tutti, che gli risparmi la manovra economica d’autunno. Pd-M5s-FI al governo a firmare una finanziaria drammatica e Salvini a impazzare allegro per piazze e tv? Non è una grande idea. Non per caso, sembra che FI non ne voglia sapere e l’ipotesi di un “governo istituzionale” si stia rapidamente trasformando in un “governo di legislatura” tra Pd e M5s. C’è chi spera che, nel frattempo, una qualche tegola (nuove rivelazioni, la magistratura, ecc.) si abbatta sul capo di Salvini. Ma c’è qualcuno che crede davvero che (sull’economia, sulla crescita, sui conti pubblici, sulla giustizia, sulle riforme istituzionali, sulla collocazione internazionale dell’Italia, ecc.) si possano trasformare i grillini negli alfieri di un programma europeista? Che una maggioranza diversa si possa fondare su un programma populista (e su una bandierina del grillismo come l’abborracciata riforma costituzionale antiparlamentare)? Salvini, si dice, è un pericolo per la democrazia. E Casaleggio, Grillo e la “turba confusa” di “redentores”, no? Vogliamo, come ha scritto Carlo Stagnaro, impedire a Matteo Salvini di arrivare al potere, o impedire alle idee di Salvini di arrivare al potere, indipendentemente da chi se ne faccia interprete? Salvini si batte solo se dimostra che le sue idee sono sbagliate e di averne di migliori. Non si possono indossare i panni dello statista abbinandoli con il naso ed il ghigno del clown. La credibilità in politica è tutto.

 

Alessandro Maran

  

Non mi piace il voto-regalo a Salvini

Non mi piace la linea del voto subito: non mi va di fare un regalo a Salvini. Ma il guaio è che non mi piace nemmeno la linea del voto in primavera, dopo che un governo di scopo ha tagliato alla carlona 345 parlamentari, e fatto con grande pena e fatica la legge di stabilità. E non mi piace esattamente per lo stesso motivo: non voglio fare un regalo a Salvini. Dubito molto, infatti, che possa trovarsi a mal partito dopo sei mesi di opposizione a squarciagola. Vuol dire che dobbiamo rassegnarci a lasciare il paese nelle trucide mani della Lega salviniana e dei postfascisti di Giorgia Meloni? Non so, forse tertium datur. Se per sgonfiare il populismo grillino sono bastati 12 mesi, per far rifluire quello leghista non possono volercene di meno, tanto più se lo si manda all’opposizione. Se poi la preoccupazione ultima è (come è per me) il tratto liberale della democrazia parlamentare, allora voglio evitare sia le sbandate antieuropeiste che un Quirinale nero-verde. Dunque: orizzonte 2022. Il terreno di compromesso col M5s che mi spaventa non è l’economia o l’ambiente (hanno già mollato), ma la giustizia. Voglio un fior di garantista a via Arenula.

 

Addenda 1. In una democrazia parlamentare i governi si formano, per l’appunto, in Parlamento. E’ la volta che la finiamo col gridare all’inciucio, e magari lo capisce pure qualche pentastellato minimamente ragionevole. 2. Non mi interessa la paternità della proposta, renziana o dimaiana (dio santo cosa ho scritto!). Mi interessa che il Pd, o quel che ne sarà dopo un simile passaggio, sia pensato per durare. E lo stesso direi per Forza Italia. Una cosa è sicuramente vera: nessun partito è tale se non si forgia nel mezzo di un conflitto.

 

Massimo Adinolfi

O una maggioranza, o meglio il voto

Per evitare le elezioni è necessario che si costruisca una maggioranza parlamentare a sostegno di un nuovo governo. Che il governo sia tecnico, politico, di scopo o di salvezza nazionale importa poco, per essere un governo democratico deve avere una maggioranza. Un governo minoritario porterebbe comunque a elezioni in tempi rapidi e finirebbe con l’incoraggiare tutte le spinte antiparlamentari già largamente presenti nel paese. Chi vuole “salvare la democrazia” dal presunto pericolo fascista-leghista deve in primo luogo praticare la democrazia, il cui basamento è la sovranità popolare. L’alternativa è solo un governo basato su una vera intesa politica e programmatica tra Cinque stelle e Partito democratico, che sembra assai improbabile e che avrebbe una maggioranza numerica che faticherebbe a essere confermata nelle elezioni successive, che prima o poi comunque ci saranno. Si è creata una netta discrasia tra l’orientamento elettorale e la composizione del Parlamento: questo di per se non rende necessaria una verifica elettorale, ma farebbe sembrare un artificio la costruzione di un esecutivo che avrebbe lo scopo di salvaguardare gruppi parlamentari renziani e grillini. Per questo è maglio votare, e se bisogna votare meglio farlo presto. Chi vuole battere il rampantismo di Matteo Salvini deve farlo nelle urne, non con trucchetti che chissà perché vengono chiamati istituzionali o con qualche marchingegno giustizialista, che finirebbe poi per ritorcersi contro gli apprendisti stregoni.

 

La data delle elezioni dovrebbe essere il punto di arrivo di un ragionamento, e non quello di partenza. Così prescrive la Costituzione e così richiede il buonsenso. Con lo scioglimento dell’attuale maggioranza, il presidente della Repubblica deve verificare se esista una maggioranza alternativa. Questo è il modo tecnico e asettico di porre la questione. Ma, sotto, c’è un tema assai più caldo: esiste, tra le forze politiche, un’idea comune di cosa fare, una volta ottenuto il potere? Chiunque voglia sostituire Giuseppe Conte dovrà ben presto chiarire – per citare solo alcuni dossier – se e come intenda impedire l’aumento dell’Iva, cosa fare con Alitalia, come gestire gli eventuali arrivi di nuovi barconi carichi di migranti, quali tasse tagliare e quali aumentare, dove fissare l’asticella del deficit, e così via. Se, invece, l’unica motivazione per costituire un nuovo governo fosse allontanare la (presunta) vittoria elettorale di Salvini, ciò imporrebbe un prezzo tanto più salato quanto più lunga fosse l’esperienza dell’accozzaglia al governo: il prezzo sarebbe quello di vendere l’anima, sacrificando tutto quello di buono che abbiamo raccontato in questi anni. Ossia che l’Italia ha bisogno di riforme che la rendano governabile, per evitare operazioni di Palazzo nel segno dell’ingovernabilità. La questione è, al fondo, assai semplice: o si combatte Salvini coi mezzi di Salvini, o si combattono le idee di Salvini con idee diverse e migliori. Ciascuno si faccia la domanda e si dia una risposta.

 

Sergio Soave

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