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La nuova maggioranza c'è

Il bluff estremo di Salvini contro “l'inciucio” chiama in causa il Colle

Valerio Valentini

Il leghista prova a stanare i 5s: subito il taglio dei parlamentari e poi al voto. Ma dal Quirinale filtra perplessità. Conte in Aula il 20 agosto

Roma. Alla buvette del Senato, Roberto Calderoli, con l’aria di chi non nega di averla combinata grossa, ordina un bicchiere di vino bianco, e poi si concede alle domande di chi lo assedia. “Allora”, esordisce, “se si approva la riforma in via definitiva alla Camera il 19 agosto, diverrà a tutti gli effetti operativa verso la metà di giugno 2020”. E a quel punto, tra le facce interdette dei cronisti, spunta anche quella di Ignazio La Russa: “E se si vota prima?”. Calderoli, regista neanche troppo occulto di questa pazza giornata, replica: “Si vota con la vecchia norma, si rieleggono tutti i 945 parlamentari. E poi la riforma diventa operativa dalla legislatura successiva”. La Russa scuote la testa: “Ma non è vero, a quel punto della riforma non resta in piedi più nulla”. Istantanee concitate di un pomeriggio convulso al Senato, dove – alle otto di sera – ancora si deve depositare la polvere sollevata dall’ultima mossa di Matteo Salvini. Il quale, con un’intuizione che è un po’ colpo di teatro e un po’ estremo tentativo di uscire da un angolo dove lui stesso s’era infilato anche a costo di innescare uno scontro istituzionale col Quirinale, dai banchi della Lega un’oretta prima aveva spiazzato tutti rivolgendosi agli “amici del M5s”. “Accetto la sfida: tagliamo insieme 345 parlamentari, e un minuto dopo andiamo a votare”. “E’ un bluff”, sentenzia Vasco Errani, tranquillizzando i senatori grillini un po’ storditi. E’ una mossa del cavallo, quella di Salvini, a metà tra la propaganda e lo scontro frontale col Colle, che di certo può avere una sua efficacia tattica. Può di certo funzionare a mettere in subbuglio i grillini che già s’erano convinti, chi rassegnato e chi entusiasta, a un accordo col Pd. E tuttavia non vale a evitare che la finestra elettorale di ottobre, di fatto, si chiuda o quasi.

 

“Perché Salvini cerca di mascherare con la propaganda il dato politico di giornata”, conferma La Russa. “E il dato politico è che oggi c’è una nuova maggioranza”. Quella benedetta da Matteo Renzi: “Il tabellone oggi indicherà che un’altra maggioranza esiste”, dice l’ex premier. E infatti di lì a poco M5s, Pd, Misto e Autonomie votano il calendario elaborato ieri dal grillino Stefano Patuanelli e il renziano Andrea Marcucci. E dunque Giuseppe Conte verrà a riferire in Aula il 20 agosto, rimanendo fino ad allora in carica. “Significa tirarla in lungo, forse troppo in lungo”, dice il senatore leghista Pasquale Pepe. “Conte aveva detto che si sarebbe fatto da parte se non fosse riuscito a sanare le liti E invece, ora che Salvini e Di Maio anziché litigare si scannano, lui resta lì? Allora è evidente che punta a una riconferma”. E in effetti, nel pantano di una crisi imprevedibile, l’ipotesi del Conte-bis prende bizzarramente consistenza, anche perché lo stesso Renzi, pur aborrendola (“Conte è stato il premier più insignificante della storia repubblicana”, dice), nei fatti non la respinge: “Decideranno i partiti e il presidente della Repubblica”. Una affermazione che viene accolta con favore dagli stessi grillini. “Una apertura significativa, sì”, conferma il senatore Primo Di Nicola. Ed è proprio su un sentiero che sembrava divenuto agevole, che Salvini ha deciso di mettersi di traverso, con una mossa estrema. “Questa è la mossa di chi si è accorto di essere in un via senza uscita e prova a riavvolgere il nastro”, dice Pier Ferdinando Casini allo stesso Renzi, confabulando con lui in un corridoi di Palazzo Madama. “Tu ragioni come se tutto fosse ancora razionale”, gli risponde l’ex premier. “Salvini è capacissimo di tornarci davvero, indietro, e di riaprire ai grillini. Non è detto che lo farà, ma non lo escluderei”. Chissà. Di certo, la decisione di rilanciare sul taglio dei parlamentari, esigendo al contempo il voto immediato, è un azzardo che chiama direttamente in causa il Quirinale. “Il precedente c’è”, dice il capogruppo leghista Massimiliano Romeo: nel 2005 le Camere approvarono la devolution, col taglio dei parlamentari. Poi si andò a votare, e il referendum confermativo lo indisse il nuovo governo, quello di Prodi, dopo essersi insediato”. E’ un modo per dire, evidente, che se Mattarella volesse, potrebbe avallare l’operazione. E infatti di lì a poco anche Salvini tira in ballo le “prerogative del Quirinale”. Da cui, però, a tarda sera, trapela una forte perplessità rispetto al percorso indicato dal leader leghista. “Vorrà dire che si dimostrerà non imparziale”, sbuffano nella Lega. Lo stesso Calderoli quasi sogghigna, quando lo si informa dei malumori del Colle, e risponde allusivo: “Ora vedremo quali saranno le valutazioni del Quirinale”.

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