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Il dramma dell'opposizione al lupo al lupo

Claudio Cerasa

Politica estera, immigrazione, Costituzione. La deriva autoritaria è forse quella del governo, ma è una deriva che non si può capire senza aver messo prima a fuoco la deriva cialtronara di chi ha lanciato per anni allarmi che non lo erano

Possono permettersi di essere accusati di corruzione internazionale, possono permettersi di essere accusati di sequestro di persona, possono permettersi di stravolgere lo stato di diritto, possono permettersi di giocare con il giusto processo, possono permettersi di usare il lessico fascista, possono permettersi di giocare con la xenofobia, possono permettersi di cambiare a piacere la Costituzione, possono permettersi di fare quasi qualsiasi cosa (Savoini chi?) e più la fanno grossa (Putin chi?) e più viene naturale chiedersi come sia possibile che di fronte all’impresentabilità del populismo sovranista (crescita chi?) non ci sia opposizione che tenga, non ci sia un’alternativa che scalfisca, non ci sia un’opinione pubblica capace di dimostrare che il campione del nazionalismo all’amatriciana, il nostro amato Truce – per non parlare del nostro amato mister Ping – somiglia sempre meno a un brillante Re Sole e sempre di più a un perfetto Re sòla. Buona parte delle responsabilità del successo dei sovranisti dipende naturalmente dalla debolezza delle opposizioni e dall’assenza di alternative convincenti. Ma tra le ragioni del successo del Salvini di oggi e del M5s di ieri vi è un elemento importante che riguarda un non detto drammatico della grammatica sovranista, che potremmo provare a spiegare utilizzando la trama di una famosa favola di Esopo: al lupo al lupo.

 

Il protagonista della favola è un pastore che di notte doveva fare la guardia alle pecore del padre. Quel pastore spesso si annoiava e per questo decise diverse volte di fare uno scherzo alle persone che dormivano urlando al lupo al lupo quando il lupo non c’era. Un giorno il lupo arrivò davvero, il pastore cominciò a gridare al lupo al lupo, nessuno gli credette, il lupo entrò nel recinto e si mangiò tutte le pecore. L’immagine del pastore combacia alla perfezione con un pezzo importante dell’opinione pubblica italiana che oggi non riesce a bucare lo schermo contro il lupo sovranista per una ragione molto semplice: dopo aver urlato per anni al lupo al lupo, senza che il lupo ci fosse, oggi che il lupo è arrivato davvero nessuno gli crede più.

 

Può essere credibile un’opinione pubblica anti sovranista che usa contro Salvini e Di Maio le stesse parole d’ordine – state portando l’Italia verso un regime autoritario, state svendendo l’Italia ai paesi stranieri – usate contro Renzi e Berlusconi? Può essere credibile un’opinione pubblica anti sovranista che dopo aver denunciato per anni l’imminente arrivo del fascismo – per via di una riforma elettorale, per via di una riforma costituzionale, per via della gestione di un partito – usa oggi lo stesso lessico del passato per combattere un governo non amato? Può essere credibile un’opinione pubblica anti sovranista che per combattere sull’immigrazione il governo populista usa le stesse categorie critiche – fascisti! – usate nel passato per contestare le politiche di altri governi che non hanno mai chiuso i porti, che non hanno mai giocato con le vite delle persone in mare, che non hanno mai messo il diritto internazionale in contrapposizione con il diritto nazionale? E può essere credibile un’opposizione che per inquadrare in modo sintetico la pericolosità del governo attuale usa le stesse categorie usate nel passato per combattere i vecchi nemici, siete come le vecchie destre, senza capire che il populismo sfascista mette insieme il peggio della destra ma anche il peggio della sinistra?

 

La riflessione sul tema dell’“al lupo al lupo” viene in questi giorni naturale per via di una storia ignorata da buona parte dei giornali che riguarda un testo, approvato qualche mese fa alla Camera e che oggi è all’esame del Senato, che prevede la modifica dell’articolo 71 della Costituzione nella parte in cui disciplina l’iniziativa legislativa popolare e che introduce una particolare forma di referendum propositivo, che di fatto contribuisce a rosicchiare in modo significativo potere al Parlamento, con un impatto rilevante sull’identità della nostra democrazia rappresentativa. Con questa riforma, una qualsiasi legge di iniziativa popolare sorretta da un numero di sottoscrizioni pari a 500 mila elettori deve essere approvata entro 18 mesi dalla sua presentazione dal Parlamento. E nel caso in cui il Parlamento modifichi in modo sostanziale il progetto di legge presentato, viene dato ai promotori il diritto di sottrarre la stessa legge al Parlamento e di portarla nuovamente di fronte agli elettori, per farla approvare per via referendaria (necessario il voto favorevole di un quarto degli aventi diritto al voto). A forza di gridare al lupo al lupo, la Zagrebelsky e Associati è rimasta senza voce, proprio ora che il lupo è arrivato. La deriva autoritaria è forse quella del governo, ma è una deriva che non si può capire senza aver messo prima a fuoco la deriva cialtronara di chi ha lanciato per anni allarmi che non lo erano.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.