Matteo Salvini (foto LaPresse)

Dare agli stati stranieri gli strumenti per pagare la politica. C'è un patto Lega-M5s

Claudio Cerasa

Ad aprile, Lega e M5s, nell’indifferenza generale, hanno approvato una norma che consente alle fondazioni politiche di non applicare il divieto di ricevere soldi da uno stato estero. Appunti in libertà sull’insalata russa del sovranismo italiano

La notizia che con ogni probabilità occuperà buona parte delle prime pagine dei giornali di oggi è quella comunicata ieri mattina dalla procura di Milano, che ha fatto sapere di aver aperto un fascicolo per verificare se l’audio che riporta il tentativo del leghista Gianluca Savoini di ottenere dalla Russia fondi illegali per la campagna anti europeista della Lega contenga o no elementi tali da giustificare un’indagine per valutare un’ipotesi di reato impegnativa: corruzione internazionale. La pista dei soldi russi alla Lega salviniana è ovviamente affascinante e persino suggestiva (e alla fine di questo articolo vi daremo una notizia interessante) ma la verità è che per dimostrare l’esistenza di una speciale e fruttuosa sintonia fra le teste d’ariete del sovranismo nazionalista e le teste d’ariete del nazionalismo illiberale è sufficiente osservare, prima ancora che il percorso dei rubli, la traiettoria della realtà.

  

La realtà ci dice che il sovranismo è inevitabilmente un’insalata russa perché il suo Dna contiene gli stessi geni che fanno parte del progetto politico putiniano (e ovviamente anche trumpiano): indebolire l’Europa, combattere la società aperta, aggredire le democrazie liberali, screditare le istituzioni europee, rafforzare i partiti anti europeisti. Su questo spartito, come ha raccontato ieri sul Foglio Daniele Raineri, il cammino dei partiti nazionalisti si è spesso intrecciato con quello della propaganda russa e non è la prima volta che le cronache politiche europee si ritrovano ad aprire il file delle influenze russe sui partiti sovranisti. Nel 2017, la rivista francese online Mediapart documentò la storia del prestito di una banca russa al Front national di Marine Le Pen. Nel 2018, una serie di giornali inglesi ha accusato Nigel Farage di aver ricevuto l’equivalente di 450 mila sterline subito dopo la campagna a favore della Brexit da Arron Banks, un businessman britannico conosciuto per la sua militanza euroscettica e considerato vicino alla Russia di Vladimir Putin.

  

Nel 2019, pochi mesi fa, un documento destinato al Cremlino e rivelato dalla Bbc ha descritto un deputato di Alternativa per la Germania (AfD) Markus Frohnmaier come “totalmente sotto il controllo” della Russia. E sempre poche settimane fa, in Austria, è comparso il famoso video di sette ore in cui l’ex vice cancelliere Heinz-Christian Strache ha dato prova di quanto il suo partito (l’Fpö) fosse pronto a mettersi al servizio della Russia in cambio di finanziamenti occulti, costringendo il premier uscente dell’Austria, Sebastian Kurz, a far saltare la maggioranza di governo. La grande differenza con l’Austria non è però legata solo all’impatto diverso avuto sull’opinione pubblica di un audio più che imbarazzante e in un certo senso rivelatore. E’ legata a qualcosa di più: alla sostanziale differenza di approccio scelta in Italia dagli alleati dei nazionalisti putiniani.

 

In Austria, come detto, di fronte allo scandalo Strache, Kurz ha scelto di rompere con l’alleato impresentabile. In Italia, di fronte allo scandalo Salvini-Savoini, gli azionisti di maggioranza del governo hanno scelto di fischiettare e di infilare come gli struzzi la testa sotto la sabbia. “Cosa ne penso di questa storia? – ha detto con grande senso dei tempi comici Luigi Di Maio – guardate, io sto lavorando, ma sicuramente meglio Putin che i petrolieri”. Molto spassoso. Ma la ragione per cui il Movimento 5 stelle ha scelto di non utilizzare per una volta l’infortunio dell’alleato di governo per provare a graffiare la macchina del consenso leghista ha poco a che fare con il cabaret e molto con la ciccia dei guai dell’Italia: quello che in teoria dovrebbe essere, come prevede la propaganda dei teorici del bipolarismo populista, un partito diverso e fieramente alternativo alla Lega, in realtà anche su questo terreno ha mostrato di essere un partito complice e perfettamente complementare al sovranismo putiniano e il Movimento 5 stelle considera la Russia un formidabile modello da seguire a tal punto da aver provato più volte a spostare lontano dall’atlantismo americano il baricentro politico dell’Italia (pensate al Venezuela, per esempio, quando l’Italia risultò essere l’unico paese europeo a non riconoscere Guaidó come chiedeva la Russia, e pensate a ciò che è successo a marzo al Parlamento europeo, quando sia la Lega sia il M5s hanno dato indicazione di votare contro una mozione importante pensata per prendere in considerazione “un’estensione delle sanzioni nei confronti di Mosca, vincolare una serie di accordi economici con la Russia solo a condizione che siano rispettati pienamente i cosiddetti accordi di Minsk per porre fine alla guerra nell’Ucraina orientale, condannare le attività finanziarie illecite e il riciclaggio di denaro sporco da parte della Russia che costituisce una minaccia per la sicurezza e la stabilità europea”). Il tempo ci dirà se dietro alla sintonia tra il sovranismo populista e il nazionalismo putiniano c’è qualcosa in più di un semplice e simmetrico progetto politico.

 

Ma il rapporto tra gli azionisti del nostro governo e la questione dei finanziamenti stranieri è un tema che diventa ancora più interessante se si prende in considerazione una storia molto significativa che riguarda una particolare legge voluta da questo governo. Il 30 aprile la maggioranza gialloverde ha convertito in legge il decreto crescita e nell’indifferenza generale la Lega e il M5s hanno approvato anche un curioso comma all’articolo numero 43 che introduce una serie di deroghe nei confronti delle fondazioni politiche. Grazie a questo comma, le fondazioni sono esonerate da una serie di scadenze e di adempimenti a cui sono invece soggetti i partiti. E grazie a questo comma il governo sceglie di non applicare alle fondazioni il regime sanzionatorio previsto per i partiti “qualora le elargizioni siano disposte da persone fisiche maggiorenni straniere”. Ed esenta queste fondazioni ad applicare il comma 12 della legge Bonafede, che fa divieto di “ ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero”. In altre parole, Lega e M5s, ad aprile, hanno scelto di approvare una disposizione che consente alle fondazioni politiche (ma non ai partiti) di non applicare il divieto di ricevere soldi da uno stato estero. Le deroghe accettate, come qualcuno forse ricorderà, riguardano un’altra famosa legge approvata dal governo a fine novembre: la “spazza corrotti”, ovvero la legge Bonafede. Poco prima di arrivare in Aula, in commissione ci fu un partito che presentò un emendamento particolare per sopprimere un comma previsto dall’articolo 7 della legge Bonafede. L’emendamento non passò ma le cronache della Camera sono lì a testimoniare che un mese dopo l’incontro registrato dell’ambasciatore di Salvini in Russia, all’Hotel Metropol di Mosca, con alcuni emissari russi, lo stesso partito di Matteo Salvini ha fatto presentare ai suoi deputati delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia (Bordonali, Iezzi, De Angelis, Giglio Vigna, Invernizzi, Maturi, Stefani, Tonelli, Vinci) un emendamento curioso, il cui scopo era eliminare il divieto per i partiti di ricevere finanziamenti da governi esteri. L’emendamento non verrà approvato, ma pochi mesi dopo la legge Bonafede verrà modificata e alle fondazioni, grazie a un patto tra Lega e M5s, verrà concesso ciò che ai partiti è stato vietato. Quando si dice l’amore, no?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.