Luigi Di Maio

Prescrizione e tasse. Smascherare il governo della furbizia semantica

Salvatore Merlo

Altro che #bastaimpuniti, sarà l'esatto contrario. Guida ai fake annunci di Salvini e Di Maio

Quelli dello staff, i ragazzi della comunicazione di Rocco Casalino, acchiappano i deputati del M5s, uno alla volta, a coppie, a grappoli, nel bel mezzo di Piazza Montecitorio, su un divanetto del Transatlantico, in un corridoio anonimo o in cortile davanti alla fontana, e a ciascuno consegnano un foglio di carta formato A4 su cui compare la scritta #bastaimpuniti e via… sorriso, clic, selfie. Decine di selfie per Facebook, Twitter e Instagram. In un angolo, Luciano Violante, l’ex presidente della Camera, l’ex magistrato, osserva la scena, un sorriso repentino stira gli angoli delle vecchie labbra: “Questo è il primo governo della comunicazione, in senso letterale, cioè che vive immerso nella comunicazione secondo la seguente logica: l’annuncio equivale al fatto. Ma non è così”. E allora #bastaimpuniti, è l’annuncio. Dal 2020 non ci sarà più la prescrizione per i reati gravissimi. “Ecco appunto”, sorride Violante. “Purtroppo è esattamente il contrario. Se un magistrato si trova davanti a dei reati che non si prescrivono, è ovvio che darà la precedenza a quelli che invece rischiano la prescrizione. Con conseguenze che potrebbero essere paradossali. Altro che #bastaimpuniti”. Ma certe parole sono come i magazzini della Rinascente: ci puoi mettere dentro qualsiasi cosa. E quello di Salvini e Di Maio si candida a essere il primo governo, se non proprio della comunicazione, della furbizia semantica.

   

Le parole, diceva Prezzolini, sono fra i nostri nemici; ci tradiscono come ambasciatori, e ci ingannano come interpreti. E a ben guardare, quel che importa oggi è soprattutto la forza, l’energia, l’enfasi, come nella pubblicità: come il doppio brodo, il doppio sugo, il doppio concentrato. Quindi #bastaimpuniti, #spazzacorrotti, non parole ma talvolta parole d’ordine, rafforzativi, se non addirittura truffe di significato, frodi sintattiche, espressioni a doppio fondo, insomma titoli di leggi che non corrispondono ai contenuti dei provvedimenti, ma sono buoni per Instagram, nella misura di una politica che vive di marketing e di istantanee, di selfie, appunto. La più evoluta tecnologia del far credere. E allora ecco la flat tax che non è una flat tax, e non è nemmeno “il più grande taglio delle tasse della storia italiana”, come disse Matteo Salvini – a proposito di iperboli – ma è più modestamente l’estensione del regime forfetario dei minimi. Fino al condono che diventa “pace fiscale”, un po’ come nel film “Amici miei”, quando il tic della contraffazione semantica viene preso in giro così: “Non si dice ‘impotente’ ma ‘non trombante’”.

      
Ed è l’inghippo di un linguaggio che non è innocente, perché con la sua potenza è servito e serve a contrabbandare una cosa per un’altra. Come il banalissimo sussidio di disoccupazione che diventa l’altisonante “reddito di cittadinanza”, o il provvedimento sui “rimborsi ai truffati dalle banche” che è in realtà un salvacondotto per quelle banche che avrebbero rischiato azioni legali e onerosi risarcimenti. C’è poi ovviamente l’“azzeramento della legge Fornero”, la “quota cento”, che però vale soltanto per un anno, e della legge Fornero in realtà conserva l’impianto, e infatti chi vorrà andare in pensione prima prenderà un assegno più basso di quello che avrebbe preso aspettando il compimento dei sessantasette anni.

          
Ma le parole, si sa, non vogliono stipendio e si danno a chi meglio le adopera, per qualunque causa, anche quella di Instagram. Così mentre i grillini si fotografano con i cartelli su cui si legge la scritta #bastaimpuniti, mentre festeggiano l’eliminazione della prescrizione (ma dal 2020), i loro colleghi leghisti annunciano e festeggiano la riforma del processo penale, che dovrebbe (sempre nel 2020) accompagnare l’entrata in vigore del #bastaimpuniti, e di fatto annullarne gli effetti. Spiega dunque Salvini che “con la riforma avremo finalmente processi rapidi”. E insomma quelli propongono di eliminare la prescrizione e fanno immaginare processi lentissimi, e gli altri, per rimediare, propongono la riforma del codice penale e processi velocissimi. Sembra la scena di una commedia di Goldoni. Ogni attore parla per conto proprio a voce alta verso la platea, dice che sta combinando una beffa al vicino, il quale, naturalmente, non deve ascoltare, mentre anche gli altri fingono di non sentire di essere beffati: la sorpresa deve venire dopo (si presume nel 2020). “Questo è il primo governo della comunicazione, in senso letterale”, dice Violante, “cioè vive immerso nella comunicazione: annunciare qualcosa equivale ad averla fatta”. E che poi tutto ciò non corrisponda precisamente al vero, poco importa. Conta l’astuzia semantica (e il selfie).

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.