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Perché la pace fiscale della Lega non può non essere un condono

Redazione

Il M5s dice di non essere d'accordo, ma il provvedimento è inserito nel contratto di governo. Cottarelli: "Per qualunque definizione internazionale è un condono"

Non chiamatelo condono. Blindato nel contratto di governo, il provvedimento su cui la Lega punta per recuperare circa 20 miliardi di capitali evasi può esistere solo se ribattezzato con il più conciliante nome di "pace fiscale", pena il veto del M5s. Su questo tema si concentrerà la discussione tra i due azionisti di governo in vista della manovra di bilancio, di cui oggi parleranno il premier Giuseppe Conte, i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio e il ministro dell'Economia Giovanni Tria in un vertice a Palazzo Chigi. 

   

A riguardo, la linea del M5s sembrerebbe essere ben ancorata al pensiero grillino delle origini: "Il M5s non è disponibile a votare alcun condono – ha detto Di Maio, mandando un segnale alla Lega – Se stiamo parlando di pace fiscale, di saldo e stralcio siamo d'accordo. Se invece parliamo di condoni non siamo assolutamente d'accordo". 

  

 

  

Ma in che modo la pace fiscale ipotizzata dalla Lega può non essere considerata un condono? Se le condizioni sono quelle illustrate fino ad ora, nessuno. Secondo le ultime dichiarazioni del sottosegretario all'Economia Massimo Bitonci la proposta attuale riguarderebbe infatti i debiti fino a 1 milione di euro, da recuperare con tre diversi scaglioni percentuali: il 6 per cento per le somme più esigue, il 10 per cento e il 25 per cento per quelle più sostanziose. L'esempio più semplice è quello di un debito con lo stato di 1 milione di euro che potrebbe essere saldato pagandone solamente 250 mila. Strutturata così, la proposta leghista sembra abbastanza lontana dalle intenzioni del M5s di "aiutare le fasce più deboli della popolazioni" per dare una mano "a chi, con la crisi, è rimasto un po' indietro". Diverso sarebbe se invece di abbattere il debito, il provvedimento permettesse a chi vuole chiudere le proprie cartelle esattoriali, di farlo senza pagare sanzioni e interessi. A chiarire i confini della questione è stato l'economista Carlo Cottarelli, intervistato da Radio Capital. "Per qualunque definizione internazionale la pace fiscale è un condono", ha detto Cottarelli. La parola condono, ha spiegato, "riguarda tutto quello che il fisco deve incassare sulla base della legge e per qualche motivo decide di non incassare". In questo caso, ha continuato l'economista, si tratta di un "condono molto generoso, perché lo sconto può essere dell'80 per cento o addirittura forse di più, vedremo". 

  

Tuttavia, secondo le stime del governo, il meccanismo servirebbe a recuperare 20 miliardi di euro. Una cifra che lo stesso M5s non può permettersi di sottovalutare, viste le costose promesse della campagna elettorale. L'accordo, numeri alla mano, potrebbe essere solo una questione di linguaggio. A mediare ci penserà Tria, che già qualche mese fa in audizione in Senato aveva detto che "parlare di pace fiscale non vuol dire fare nuovi condoni, ma avere un fisco amico che favorisca l’estinzione dei debiti e che tenga a cuore, accanto alla riscossione, anche il suo presupposto, cioè creare ricchezza e consumi e in ultima analisi il benessere e la crescita del paese". Così "pace fiscale" sembra una di quelle parole lost in translation che fanno tanto scervellare i traduttori quando da una lingua all'altra non trovano un'espressione che mantenga lo stesso significato. Può funzionare anche per M5s e Lega, basta non chiamarlo condono. 

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