Il vicepremier Matteo Salvini ha scelto una linea prudente sull'economia (Foto LaPresse)

Il giorno dei responsabili: così Salvini si lega a Tria e sceglie la linea della prudenza

Valerio Valentini

Il vicepremier spaventato dai mercati predica cautela. Fermato l’attacco a Confindustria

Roma. Uno dei pochi eletti ammessi all’incontro lo sintetizza così, il senso di questo martedì appena passato, quello del vertice convocato da Matteo Salvini per discutere della manovra che verrà: “Il giorno in cui decidemmo di essere responsabili”. E la battuta, lasciata cadere con una certa noncuranza, subito però assume consistenza di seriosa, sostanziale verità: perché mentre i fedelissimi del capo della Lega, uscendo dal Viminale offrono parole di cautela, sposano di fatto la linea della prudenza voluta da Giovanni Tria e parlano della necessità di rassicurare i mercati, nel frattempo Luigi Di Maio, a Napoli, col piglio da scugnizzo ribelle, dice che lui delle agenzie di rating se ne frega, che serve “una manovra coraggiosa” e che il reddito di cittadinanza si farà, tutto e subito.

 

Toni antitetici a quelli più melliflui adoperati dall’altro vicepremier, che invece predica pazienza, spiega che le riforme promesse ci saranno, ma spalmate sull’arco della legislatura: tre anni per la pace fiscale, così da evitare che si tratti di un’entrata una tantum, addirittura cinque per la flat tax. “Meglio fare pochi passi per volta, ma chiari. Metterci a ridurre le aliquote solo per poter dire ‘siamo partiti con la flat tax’ sarebbe un pasticcio”, dicono i consiglieri leghisti. I quali alla fine confermano che no, “le critiche piovute dagli industriali non ci hanno lasciato indifferenti”, e dunque anche per questo si è decisi per la svolta moderata. Anche per questo, cioè, la proposta avanzata dal sempre inquieto viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia, e cioè quella di imporre la fuoriuscita da Confindustria delle aziende partecipate dallo stato, viene lasciata decadere come un’idea rivelatasi improvvisamente inopportuna: “Se ne è parlato un po’ vagamente, ma ora è in stand-by”, conferma un colonnello del Carroccio. “Confindustria ha bisogno di un partito di governo su cui poter contare, e quel partito siamo noi”.

 

Per il resto, i commenti sono quelli di rito. Quelli che definiscono l’incontro “intenso ma sereno”, e che però forse peccano di un certo manierismo, se è vero che alla fine il vertice è durato quasi tre ore, “e sono state tre ore tese”. Che ognuno, poi, interpreta un po’ come più gli torna comodo: e così Armando Siri, sottosegretario ai Trasporti, quando scopre che alcuni suoi colleghi affermano che “la priorità è stata indicata nel superamento della Fornero”, quasi protesta, e rilancia il suo pallino: “La flat tax è un pilastro, e pure la pace fiscale lo è”. Compatibilità con il reddito di cittadinanza? “Certo, la sintesi si troverà”, dice Siri. E come? “Facendo entrambi”, ribatte subito, come a volere reprimere sul nascere i dubbi che la sua intelligenza pure deve imporgli. “Noi facciamo politica, poi Tria, che è un tecnico, troverà la quadra”, spiega.

 

Ma insomma non per tutti la sintonia è così scontata, nell’esecutivo: “Se noi accettiamo di procedere per gradi, il M5s non può andare per strappi”, dice un altro dei presenti. “Le pensioni d’oro? Il limite sarà posto a 5 mila euro, come sta scritto nel contratto, e non a 4 mila come vuole Di Maio”. E le concessioni autostradali? “Anche qui ci vuole pragmatismo. Toninelli continua a fare propaganda”, sbotta un leghista. E si capisce, allora, che qualche malumore pure deve esserci stato, ad agitare la riunione. Lo si capisce anche dal fatto, insolito, che nel pomeriggio tutti si schermiscono: “Parla solo Salvini, non chiedeteci niente”. Segno che, stavolta, il segretario vuole evitare uscite improvvide dei più temerari tra i suoi consiglieri economici. E in fondo nella Lega funziona così: “Comanda Matteo”.

 

E Matteo ai suoi ha parlato chiaro: “Se il governo deve durare, non possiamo permetterci avventurismi sui mercati. Il deficit sarà intorno al 2 per cento, come chiesto da Tria, o appena sopra”. E così la giornata in cui i leghisti decisero di essere responsabili si chiude con un tocco di surrealtà, e cioè con uno di loro che indica il tasso dello spread: “E’ arrivato a 266, quindici punti in meno rispetto a stamattina”. E sembra quasi che nei panni degli aspiranti statisti comincino a sentirsi a loro agio.