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Tria cederà fino a quota 1,99 per cento?

Valerio Valentini

La Lega chiede a Di Maio di ripensare il reddito di cittadinanza. “Solo così il ministro dell'Economia può ammorbidirsi”

Roma. Lo ha lasciato detto come estremo segnale alle truppe, prima di imbarcarsi per la Cina. “Un ministro serio i soldi li deve trovare”, ha sbuffato Luigi Di Maio. Ce l’aveva con Giovanni Tria, ovviamente, divenuto ormai, a seconda di volubili umori del capo, o il nemico da abbattere o l’alibi perfetto su cui addossare il fallimento di un Def ancora tutto da scrivere. Non che Tria si sia davvero scomposto, di fronte alle sbracate minacce del vicepremier grillino. “Tria è tranquillo? Be’, il cornuto è sempre l’ultimo a sapere le cose”, sghignazzavano l’altra sera – quasi ad alludere a tresche carbonare, a un manovrare indicibile per trovare un sostituto per Via XX Settembre – i fedelissimi di Di Maio subito dopo la cena convocata dal capo, furente, appena uscito dal vertice di Palazzo Chigi. Lo stesso durante il quale, in verità, anche la Lega ha provato a ridimensionare le pretese dello statista di Pomigliano.

  

Quelli del Carroccio una via d’uscita percorribile gliel’hanno indicata: una sorta di rimodulazione complessiva delle misure di sostegno alla povertà. “Se il reddito di cittadinanza assorbe tutti i vari ammortizzatori sociali già in vigore, apparirà come una buona riforma di semplificazione”: è questo il suggerimento offerto ai vertici del M5s dagli alleati del Carroccio. “Ma questo non è il reddito di cittadinanza”, ribattono i grillini. Come se poi contasse qualcosa, ormai, la sostanza delle cose, in questo incontrastato dominare della propaganda, con le riforme ridotte a puro flatus vocis. La flat tax, ad esempio, è ormai ristretta alle sole partite Iva, e piatta non è per niente: ci saranno almeno quattro, forse sei aliquote. Una, del 15 per cento, fino a 65 mila euro; una al 20 fino a centomila euro. E poi? E poi ancora una o due – non è chiaro, al momento – per i redditi superiori. Infine, una mini-aliquota al 5 per cento per le start-up dei giovani under 35 che abbiano ricavi fino a 65 mila euro, almeno per i primi tre anni. Quanto all’altra imprescindibile priorità leghista, quella della “quota cento”, finirà in un semplice allargamento dei fondi di solidarietà. Una sorta di prepensionamento agevolato dallo stato, ma che avrebbe comunque delle ricadute anche sul lavoratore, e inevitabilmente circoscritto alle sole aziende che intendessero aderire al piano.

   

“Non è quello che speravamo”, ammettono nella Lega, “ma è quello che possiamo permetterci”. Il tutto, infatti, costerebbe circa 3 miliardi: un quinto, quasi, della “quota cento” vera e propria con pensionamento a 62 anni. “Ma è anche per questo che chiediamo a Di Maio di moderarsi”, insistono nel Carroccio. Dove, come al solito, è Giancarlo Giorgetti a dettare la linea: “Vedrete che anche Tria sta facendo pretattica, alla fine cederà un po’”. Deve cedere, aggiungono i suoi. “Sennò? Sennò non ha senso questo governo”. E dunque la convinzione del sottosegretario leghista è che, se Salvini e Di Maio faranno “i bravi ragazzi”, Tria salirà dall’1,6 per cento di deficit a poco meno del 2, “magari l’1,99”. Prima però, c’è bisogno che anche Di Maio si dia una calmata, altrimenti il ministro dell’Economia non potrà che irrigidirsi.