Carlo Calenda, 45 anni, è stato ministro dello Sviluppo economico dal maggio del 2016 al giugno 2018 (LaPresse)

Il manifesto politico di Carlo Calenda

Carlo Calenda

Un’alleanza repubblicana oltre gli attuali partiti. Cinque idee per cominciare

Caro direttore. Dall’89 in poi i partiti progressisti hanno sposato una visione semplificata e ideologica della storia. L’idea che l’avvento di un mondo piatto, specchio dell’Occidente, fondato su: mercati aperti, multiculturalismo, secolarizzazione, multilateralismo, abbandono dello stato nazionale, generale aumento della prosperità e mobilità sociale, fosse una naturale conseguenza della caduta del comunismo si è rivelata sbagliata. Oggi l’Occidente è a pezzi, le nostre società sono divise in modo netto tra vincitori e vinti, la classe media si è impoverita, la distribuzione della ricchezza ha raggiunto il livello degli anni Venti, l’analfabetismo funzionale aumenta insieme a fenomeni di esclusione sociale sempre più radicali. La democrazia liberale è entrata in crisi in tutto il mondo e forme di democrazia limitata o populista si vanno affermando anche in Occidente. La Storia è prepotentemente tornata sulla scena del mondo occidentale. Viceversa la globalizzazione ha portato benessere in Asia e in molti paesi emergenti, dove aumentano i divari sociali e culturali, ma in un contesto di crescita generale. Anche all’interno delle società Occidentali la competizione e i mercati aperti hanno portato allo sviluppo di eccellenze produttive e tecnologiche che sono però ancora troppo poche per generare benessere diffuso.

 

Occorre chiarire una volta per tutte che ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’euro ci avvicina al default. Il debito e gli investitori

L’Unione Europea è figlia di una fase “dell’Occidente trionfante” da cui ha assunto un modello di governance politica debole, lenta e intergovernativa. L’Eurozona al contrario ha definito una governance finanziaria rigida ispirata da una profonda mancanza di fiducia tra “Sud e Nord”, incapace di favorire la convergenza, gestire gli shock senza scaricarli sui ceti deboli e promuovere la crescita e l’inclusione. Tutte queste pecche sono frutto di scelte degli Stati membri e non della Commissione Europea o dell’Europa in quanto tale.

 

La crisi dell’Occidente ha portato alla crisi delle classi dirigenti progressiste che hanno presentato fenomeni complessi, globalizzazione e innovazione tecnologica prima di tutto, come univocamente positivi, inevitabili e ingovernabili allontanando così i cittadini dalla partecipazione politica. Allo stesso modo l’idealizzazione del futuro come luogo in cui grazie alla meccanica del mercato e dell’innovazione il mondo risolverà ogni contraddizione, ha ridotto la narrazione progressista a pura politica motivazionale. Il risultato è stato l’esclusione del diritto alla paura dei cittadini e l’abbandono di ogni rappresentanza di chi quella paura la prova. I progressisti sono inevitabilmente diventati i rappresentanti di chi vive il presente con soddisfazione e vede il futuro come un’opportunità.

 

I prossimi 15 anni saranno probabilmente tra i più difficili che ci troveremo ad affrontare da un secolo a questa parte, in particolare per i paesi occidentali.

 

La sfida si giocherà da oggi al 2030. In questa decade le forze del mercato, della demografia e dell’innovazione porteranno a una drammatica collisione a meno di non correggerne e governarne la traiettoria. L’invecchiamento della popolazione porterà il tasso di dipendenza tra popolazione in età lavorativa e popolazione in età pensionistica vicino al rapporto di 1 a 1. Ciò avrà due conseguenze rilevanti: l’insostenibilità dei sistemi pensionistici e la diminuzione strutturale del tasso di crescita delle economie. Negli ultimi 65 anni infatti un terzo della crescita è derivata dall’aumento della forza lavoro. L’effetto potenzialmente positivo su stipendi e occupazione della riduzione di forza lavoro (meno persone dunque più domanda e meno offerta) sarà controbilanciata, dall’automazione. Ad un aumento della produttività derivante dall’innovazione tecnologica vicino al 30 per cento entro il 2030, corrisponderà la scomparsa del 20-25 per cento dei lavori che esistono oggi. L’aumento della produttività e la diminuzione dei posti di lavoro non si distribuiranno in modo omogeneo nei diversi settori. Le nuove professioni che si svilupperanno con l’innovazione saranno in grado di coprire i posti di lavoro perduti solo se politiche pubbliche adeguate verranno messe immediatamente in campo.

 

Se ciò non accadrà aumenteranno le diseguaglianze tra categorie di lavoratori e lo squilibrio tra salari e profitti.

 

Il cambio di paradigma economico avverrà ad una velocità mai sperimentata nella Storia. Le nostre democrazie, colpite da una gestione superficiale della globalizzazione, non possono sopravvivere a un secondo shock di dimensione molto superiori. Lo scenario che abbiamo sopra descritto richiederà un impegno diretto dello Stato in una dimensione mai sino ad ora sperimentata.

 

Sostenere la conclusione di accordi di libero scambio per aprire nuovi mercati al nostro export. Posizione intransigente sul dumping

L’Italia anello fragile, finanziariamente e come collocazione geografica, di un occidente fragilissimo, è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà. Occorre riorganizzare il campo dei progressisti per far fronte a questa minaccia mortale. Per farlo è necessario definire un manifesto di valori e di proposte e rafforzare la rappresentanza di parti della società che non possono essere riassunti in una singola base di classe. Un’alleanza repubblicana che vada oltre gli attuali partiti e aggreghi i mondi della rappresentanza economica, sociale, della cultura, del terzo settore, delle professioni, dell’impegno civile. Abbiamo bisogno di offrire uno strumento di mobilitazione ai cittadini che non sia solo una somma di partiti malandati e che abbia un programma che non si esaurisca, nel pur fondamentale obiettivo di salvare la Repubblica dal “sovranismo anarcoide” di Lega e M5s.

 

Le priorità di questo programma sono:

 

Tenere in sicurezza l’Italia. Sotto il profilo economico e finanziario: occorre chiarire una volta per tutte che ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’euro ci avvicina al default. Deficit e debito vanno tenuti sotto controllo, non perché ce lo chiede l’Europa ma perché è indispensabile per trovare compratori per il nostro debito pubblico. Sotto il profilo della gestione dei flussi migratori proseguire il “piano Minniti” per fermare gli sbarchi. Accelerare il lavoro sugli accordi di riammissione e gestione dei migranti nei paesi di transito e origine secondo lo schema del “Migration Compact” proposto dall’Italia alla UE. Creare canali di ingresso regolari e selettivi. Occorre infine ribadire con forza la nostra appartenenza all’Occidente, all’alleanza atlantica e al gruppo dei paesi fondatori dell’Ue, come garanzia di stabilità, sicurezza e progresso.

 

Proteggere gli sconfitti. Rafforzando gli strumenti come il reddito di inclusione, nuovi ammortizzatori sociali, le politiche attive e l’apparato di gestione delle crisi aziendali in particolare quanto causate dalla concorrenza sleale di paesi che usano fondi europei e i vantaggi derivanti da un diverso grado di sviluppo per sottrarci posti di lavoro. Approvare il salario minimo per chi non è protetto da contratti nazionali o aziendali. Allargare ad altri settori fragili il modello del protocollo sui call-center per responsabilizzare le aziende e impegnarle su salari e il no a delocalizzazioni.

 

Ribadire la nostra appartenenza all’occidente, all’alleanza atlantica e all’Unione europea, come garanzia di stabilità, sicurezza e progresso

Investire nelle trasformazioni, per allargare la base dei vincenti, su infrastrutture materiali e immateriali (università, scuola e ricerca). Finanziare un piano di formazione continua per accompagnare la rivoluzione digitale. Proseguire il piano impresa 4.0 e portare a 100.000 i diplomati degli Istituti Tecnici Superiori. Implementare la Strategia Energetica Nazionale e velocizzare i 150 miliardi di euro previsti per raggiungere i target ambientali di CoP21. Aumentare la dotazione dei contratti di sviluppo e del fondo centrale di Garanzia per ricostituire al Sud la base industriale che serve per rilanciarlo. Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara. Mantenere l’impegno sulla legge annuale per la concorrenza. Prevedere un meccanismo automatico di destinazione dei proventi della lotta all’evasione fiscale alla diminuzione delle tasse, partendo da quelle sul lavoro.

 

Promuovere l’interesse nazionale in UE e nel mondo. Riconoscendo che non esistono le condizioni storiche oggi per superare l’idea di nazione. Al contrario abbiamo bisogno di un forte senso della patria per stare nel mondo e in UE. Partecipando al processo di costruzione di una Unione sempre più forte, in particolare nella dimensione esterna (migrazioni, difesa, commercio), tra il nucleo dei membri storici ma ribadendo la contrarietà all’inserimento del fiscal compact nei trattati europei e all’irrigidimento delle regole sulle banche. Promuovere la rimozione dei limiti temporali sulla flessibilità legata a riforme e investimenti approvata sotto la Presidenza italiana della UE. Sostenere la conclusione di accordi di libero scambio per aprire nuovi mercati al nostro export, ma mantenere una posizione intransigente sul dumping rafforzando clausole sociali e ambientali nei trattati.

 

Conoscere. Piano shock contro analfabetismo funzionale. Partendo dalla definizione di aree di crisi sociale complessa dove un’intera generazione rischia l’esclusione sociale. Estensione del tempo pieno a tutte le scuole. Programmi di avvio alla lettura, lingue, educazione civica, sport per bambini e ragazzi. Utilizzo del patrimonio culturale per introdurre i bambini e i ragazzi all’idea, non solo estetica, di bellezza e cultura. E’ nostra ferma convinzione che una liberal democrazia non può convivere con l’attuale livello di cultura e conoscenza. L’idea di libertà come progetto collettivo deve essere posta nuovamente al centro del progetto di rifondazione dei progressisti.

 

Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara. Mantenere l’impegno sulla legge annuale per la concorrenza

Il crocevia della Storia che stiamo vivendo alimenta paure che non sono irrazionali o sintomo di ignoranza. Abbiamo davanti domande epocali a cui nessuno può pensare di dare risposte semplicistiche. La tecnologia rimarrà uno strumento dell’uomo o farà dell’uomo un suo strumento? lo spostamento di potere verso oriente, conseguente alla globalizzazione innescherà una guerra o avverrà, per la prima volta nella Storia, pacificamente? Le nostre società sono destinate a una stagnazione secolare?

 

Occorre affermare con forza che la paura ha diritto di cittadinanza. E rifondare su questo principio l’idea che compito della politica è rappresentare, anche e soprattutto, le attuali insicurezze dei cittadini. La competenza non può sostituire la rappresentanza come l’inesperienza non può essere confusa con la purezza. Questo vuol dire prendersi cura del presente e gestire le transizioni piuttosto che idealizzare il futuro, esorcizzare le paure e affidarsi alla teoria economica e alla meccanica del mercato e dell’innovazione tecnologica, come processi naturali che rendono ogni azione di Governo inutile e ogni processo dirompente inevitabile.

 

Per fare tutto ciò occorre tornare ad avere uno Stato forte, ma non invasivo che garantisca in primo luogo ai cittadini gli strumenti per comprendere i processi di cambiamento e per trovare la propria strada NEI processi di cambiamento, ma che non butti i soldi pubblici per nazionalizzare Alitalia o Ilva. Stato forte vuol dire burocrazia efficiente e dunque una rivoluzione nel modo di concepire, regolare e retribuire la pubblica amministrazione. L’Italia ha bisogno poi di un’architettura istituzionale che coniughi maggiore autonomia alle regioni con una clausola di supremazia dell’interesse nazionale che consenta di superare i veti locali. Esiste un altro nemico da battere ed è il cinismo e l’apatia che di una larga parte della classe dirigente italiana. Dai media alla politica, dalle associazioni di rappresentanza agli intellettuali l’idea che ogni passione civile sia spenta e che si possa contemplare “Roma che brucia” con la “lira in mano” godendosi lo spettacolo, è diventata una posa tanto diffusa quanto insopportabile. La battaglia che abbiamo di fronte si vince anche sconfiggendo il cinismo dei sostenitori di un “paese fai da te”.

 

Si può fare: L’Italia è più forte di chi la vuole debole!

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