Gianni Cuperlo (foto LaPresse)

La discontinuità nella sinistra secondo Gianni Cuperlo

Marianna Rizzini

Per l'ex deputato del Partito democratico “c'è vita fuori dal Pd”. "Bisogna decidere cosa saremo. Bisogna farlo ora perché in questi anni siamo usciti troppe volte con l’abito sbagliato…”. Quale sia l'abito giusto ancora nessuno lo sa

Roma. “C’è vita fuori dal Pd e dalle altre sigle di questa metà del campo”. Stavolta a dirlo non è Carlo Calenda, l'ex ministro che vorrebbe vedere in campo un Fronte repubblicano anti-populismo-sovranismo. Stavolta a parlare, su Facebook, è Gianni Cuperlo, ex deputato, esponente della minoranza pd e autore di “In viaggio. La sinistra verso nuove terre” (Rosso e Nero, Donzelli ed.). “Ma per unire, per federare quelle forze e altre che potrebbero rialzarsi serve una netta discontinuità nelle persone e nell'iniziativa politica”, dice Cuperlo, ex candidato alla primarie pd del 2013 (in cui è arrivato secondo dopo Matteo Renzi) – e non si sa se comprenda anche se stesso nel novero delle persone da cui segnare la discontinuità o se intende segnarla in prima persona, tanto più che Massimo Cacciari, sul Fatto quotidiano, lo chiama in causa per la ripartenza e che Cuperlo stesso scrive: “Chiedo a chi la pensi così di batterci assieme fino dalla prossima assemblea nazionale del Pd. Si apra una stagione costituente per una vera alternativa. Per quel che mi riguarda non accetto più tatticismi. Adesso è tempo di chiedere scusa, ripensare ogni cosa e ripartire…Cos’altro deve succedere perché il Pd e la sinistra prendano atto che è tempo di rifondare tutto? Che riti, miti e ricette di ieri non servono a capire dove piegano sentimenti e bisogni di milioni di persone? Di fronte a una sequenza quasi infinita di sconfitte chiunque se la cavi con un capro espiatorio non ha capito. Ma altrettanto assurdo è spiegare quelle sconfitte con un difetto di comunicazione o le troppe divisioni. Con argomenti simili la sinistra si condanna da sé".

 

D'altronde l'ex deputato, già nel suo libro, individuava uno dei possibili “colpevoli” nell'ansia del potere di un'intera generazione (nel partito) e, definendo quella del 4 marzo 2018, “la sconfitta più bruciante per la sinistra della storia repubblicana”, invitava a non essere auto-consolatori: “La sconfitta non è uno scalino sceso male. Né si risolve con la semplice scelta di un nuovo capo. Bisogna decidere cosa saremo e quale lingua ci distinguerà. Bisogna farlo adesso, perché nei vent’anni passati siamo usciti troppe volte con l’abito sbagliato…”.

 

Quale sia l'abito giusto ancora nessuno lo sa. Intanto però non soltanto Calenda, ma anche Romano Prodi (su Repubblica), lancia la famosa “tenda” in cui si era metaforicamente accampato oltre l'ostacolo (precisamente, “oltre il Pd”).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.