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Uscite in strada, invece di fare analisi. E rispondete a questi teatranti

Giuliano Ferrara

Che rispondere a GdL, a Canfora e agli altri profeti che hanno paura della paura? La mia analisi è quella del Vate: “Cagoja!”

Mi sono domandato che cosa sia possibile rispondere a Galli della Loggia che esorta nel Corrierone a ricristianizzare l’Italia e magari Pisa vituperio con una formazione che superi il Pd e si installi nella sua ascendenza e trascendenza (immagino), perché come lui dice non si vive di solo sesso in auto, ma anche colmando alcune buche, elevando le pedane sotto le cattedre eccetera, e accettando la paura sociale con coraggio e dismettendo ogni abito stupidamente progressista, ottimista e razionale; e mi sono domandato che cosa rispondergli da parte mia che oltre ad essergli amico sono un famoso bacchettone e scommettitore in altri tempi sulla composizione laica di cristianesimo e razionalità sulla scia di Ratzinger e san Giovanni Paolo II e Camillo Ruini, prima della Renuntiatio: mi è venuta in mente un’analisi complessa che si riassume in una sola parola: cagoja! Cagoja è l’insulto immaginifico e goliardico lanciato dal Vate a Fiume contro Francesco Saverio Nitti, politico liberale o radicale o entrambe le cose, e uno storico informato mi dice che in veneto il termine è allusivo di una lumachina, un animaletto che si nasconde.

 

Ma non c’è solo Ernesto, c’è anche Calenda che nel Fogliuzzo di ieri, mentre Phelps (grande nonostante il Nobel) e Capone (pronto per il Pulitzer) facevano a pezzi al fianco di Giovanni Tria il “contratto” sociale di Jean-Jacques Di Maio (obbligare ciascuno a essere ozioso), ha scritto un sacco di cose giuste, innovazione, società aperta, tecnologia, investimenti, sviluppo, protezione sociale nella misura in cui, individualismo, conti sostenibili eccetera, ma aggiungendo anche lui che dobbiamo intitolarci la paura, è un fatto, inutile traccheggiare, dobbiamo avere coraggiosamente paura e capire chi ha paura, perché l’occidente è in pezzi, il neoliberismo in ambasce e la classe media sente la vertigine (e sarebbe ora, cazzo) della povertà incombente. Aperti ma paurosi, e la risposta è la stessa, con assenso invece che dissenso: cagoja!

 

Poi c’è lo storico dell’Ecole barisienne, il grecista trucidideo (proto, tenere la erre) che ha votato Leu per affetto verso Pericle e D’Alema, rimpiange Gomulka in Polonia e Kadar in Ungheria perché giustamente ha in uggia i successori, ama Caio Giulio Cesare e dunque continua a sputare su Renzi, ossessione delle ossessioni di tutti i posseduti d’Italia, responsabile del berlusconismo e del salvinismo (e del cesarismo no?), e aggiunge di suo che, paura a parte, è la speranza che bisogna perdere: lo dice anche l’autore della Guerra del Peloponneso, la speranza nuoce alla democrazia. Su con la paura, giù con la speranza. Risposta? Lo immaginate: cagoja!

 

Cari signori intimiditi da quattro pellegrini che sono appena arrivati col fagotto del consenso, così leggero e pieno di uova poco fresche e farina non sgranata del suo loglio, è alla paura che bisogna fare paura, intemerata sfida provocazione ingiuria esorcismo risveglio, botte da orbi a chiunque sostenga la paura, la diffonda, la inventi, la propaghi, la giustifichi, la imbracci con il suo endorsement, la indossi su di sé come un abito scuro jettatorio, ché l’invenzione della paura è la vera risorsa di mercato dei fascionazionalpadanrousseauiani detti anche i populisti, ai quali occorre fare bù! e poi bù! e ancora bùùùùùù! in nome del buonsenso e della Costituzione più bella del mondo, e del popolo e delle élite, e sopra ogni cosa del proprio orgoglio personale che non sopporta analisi timide e callide e tentativi di capire. Ma che ci sarà mai da capire, Ilvi e Diamanti dei miei incubi?

 

Hanno pulsioni al posto di politica, sono ragazzacci con l’acne abrasiva, non importa quanto svegli e istintivi, sono gaglioffi, lo si vede a occhio nudo, non si poteva prevedere l’accecamento degli elettori ma sì, si poteva di certo prevedere la demenza degli oppositori, la lancinante pigrizia e sofferente dei loro antagonisti, la virtuosa e anticastale opulenza dei loro maquereaux, in questo paese di democrazia muscolare che allo stato vale un’unghia della France e sta sotto l’invincibile Iberia e la meravigliosa Deutschland di Weimar e del prologo in teatro del Faust. Saranno presto sommersi da rigurgiti di birra bavarese, dagli alpenstock austriaci, dal generalissimo magiaro nemico dei soldi benedetti di Soros che hanno liberato il suo paese, dagli antisemiti di Polonia che disconoscono Chopin e Gombrowicz, saranno presi in giro dai russi e dagli americani e prepareranno invece che l’età dell’oro dei nazionalismi monetari la pauperizzazione sistematica di una Patria ricca di statistiche povere e sulla miseria percepita e sull’insicurezza galoppante (ma dove, ma quando?). Sono pubblico in cerca di teatranti e teatranti in cerca di pubblico, e vogliono eccitare e tacitare un grandissimo paese patrio e matrio, civile e barbarico, insensibile e sentimentale, che ora si affida al suo peggio con cuore e mentalità servile, nel ricordo del Duce, del Buce e del Truce. Sono gente priapea, che gli viene duro con gli zingari e i vecchi ex deputati, pupazzi di cenere e paglia televisiva, grilli e grillozzi, compagni di merende saliti alle cronache per un incidente così tipicamente italiano come la solita invasione degli Iksos al grido di onestà-tà-tà. Sono letteralmente animali ruspanti, galline.

 

Roosevelt era un patrizio di New York e disse da presidente che non bisognava avere paura altro che della paura stessa, facile per lui, gli risponderebbe oggi un ebetino come Pif, che è ricco e non ha problemi, ma ne risultò un utile per gli americani e gli europei, l’utile di un dissennato coraggio che impedì la vittoria del complotto isolazionista contro l’America e liberò l’Europa da ciurmadori in cerca di spazio vitale che a confronto questi sono una pletora di mentecatti. Uscite in strada, invece di fare analisi, prendete il primo cittadino lamentoso e strattonatelo con la forza dell’immaginazione ragionevole, e ditegli a nome del Comitato di Liberazione Nazionale, e se volete di Gabriele D’Annunzio (Voi non mi amate e io non vi amo. Pure, qualche dolcezza è nella nostra vita), ditegli con le sue alate parole che dovrebbero stare in testa alle manifestazioni piene di bianchi, neri, gialli e verdi: CAGOJA! (Fine dell’analisi).

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.