Danilo Toninelli (foto LaPresse)

De Siervo & Co. contro il comitato di conciliazione grilloleghista

Valerio Valentini

Toninelli lo definisce uno strumento "per la soluzione di questioni politiche". Per i costituzionalisti sono bizzarrie giuridiche

Roma. A voler essere pignoli, si direbbe che già le parole utilizzate un poco inquietano. E infatti Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto costituzionale alla Federico II, lo dice eccome. “Parlano di ‘contratto di governo’, Lega e M5s. Ma ‘contratto’ è un termine con cui si entra in una logica tipicamente privatistica: un accordo tra due parti che ben poco ha di democratico”. Come a ribadire che la sciatteria lessicale quasi sempre è indice di problemi più profondi, ma vabbè. Il rischio, dopo tutto, non è neppure quello del permissivismo linguistico; il rischio semmai è quello della mitridatizzazione, dell’assuefazione lenta a queste bizzarrie giuridiche messe in serie. “D’altronde, di anomalie costituzionali ce ne sono state talmente tante, in queste settimane….”, sospira infatti Giovanni Guzzetta, docente di Istituzioni di Diritto Pubblico a Tor Vergata e convinto che, di fronte alla “forzatura” che lui ritiene sia davvero “grave”, quella cioè “sul ruolo del premier ridotto, secondo le parole di Luigi Di Maio, a mero ‘esecutore’ del programma”, tutto il resto passi un po’ in secondo piano. Compreso il “comitato di conciliazione”, questo strano organo previsto nella bozza del contratto di governo tra Lega e M5s e che Danilo Toninelli, capogruppo al Senato dei pentastellati, al Foglio descrive così: “Un comitato per la soluzione di questioni politiche che dovessero sorgere tra i partner del governo o per questioni non espressamente previste dal contratto”. E però “per questo – insorge Gatenao Azzariti – esiste già il Parlamento. E’ quello l’organo di compensazione naturale delle controversie, specie in una fase così conflittuale della politica”.

 

Ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza, Azzariti si era battuto per il No alla riforma renziana bocciata nel referendum del 4 dicembre perché, a suo dire, rischiava di svilire il ruolo del parlamento. “Per questo mi sorprende doppiamente – confessa – che a proporlo siano ora i Cinque stelle, e cioè, peraltro, la forza cui appartiene Roberto Fico. Il quale, nel suo discorso d’insediamento come presidente della Camera, ha parlato con apprezzabile chiarezza dell’urgenza di riaffermare la centralità dell’assemblea legislativa”. Per questo “Di Maio farebbe bene a riascoltare quelle parole”, insiste Azzariti, trovando il consenso del collega Lucarelli, giurista benecomunista napoletano che proprio di Fico è amico e mentore. E che osserva: “Un comitato del genere risponde a una logica ipertecnocratica, una superfetazione di istituti che finiscono col mortificare quelli già previsti dalla Costituzione”. Quello dell’“appesantimento burocratico”, guarda caso perpetrato da chi in realtà fa della semplificazione una bandiera, è un rischio che intravede anche Ugo De Siervo. Il quale, però, si dice “sinceramente preoccupato”, a proposito del comitato di conciliazione, dal fatto che si tratti, se non di un commissariamento del premier e dei suoi ministri, quantomeno di una “indebita attribuzione di poteri a un organo non costituzionale”.

 

Già presidente della Consulta e pure lui paladino del No nel 2016, De Siervo non condivide affatto l’idea di Toninelli, convinto che il comitato “sia perfettamente legittimo dal punto di vista costituzionale e parlamentare”. Dice, al contrario, De Siervo: “Una simile proposta dimostra che non c’è consapevolezza di cosa sia un governo. Che deve innanzitutto decidere, spesso anche in modo urgente. E invece nella bozza di contratto s’invoca l’intervento del comitato proprio di fronte a calamità naturali o crisi internazionali. C’è insomma la voglia – prosegue De Siervo – di vedere un consiglio dei ministri fatto da persone poco autorevoli, impossibilitate in premessa a essere autonome”.

 

E non a caso Azzariti riscontra un “tentativo di neutralizzare la politica e una sfiducia verso la costituzione, nelle righe del contratto di governo. “Anche i paragoni – insiste Azzariti – sono impropri. Non mi soffermo nemmeno sul parallelismo col Cln, un’offesa storica che rimanda peraltro a un’epoca in cui la Carta ancora non c’era; chi invece rievoca il consiglio di gabinetto istituito da Craxi nel 1983 non si accorge che quello era un organo, almeno formalmente, tutto interno all’esecutivo, mentre ora Lega e M5s vogliono di fatto istituire un controllo sul governo da parte dei due partiti, prevedendo ad esempio che in caso di controversie il consiglio dei ministri si fermi per dieci giorni, ‘in modo da dare al Comitato il tempo necessario per raggiungere un’intesa’”. Toninelli però ridimensiona il tutto, precisa che le “soluzioni adottate dal comitato avranno valenza politica ma non vincolatività giuridica per gli organi previsti dalla Costituzione”. Che in fondo è un po’ quello che si augura anche Guzzetta: “Se si tratta di un mero accordo politico – spiega – allora ne guadagnerà la trasparenza”. Altrimenti? “Altrimenti sarebbe grave”.

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