Arca antipopulista
Il Patto sociale del dopoguerra si è rotto ovunque. Ma ripartire si può. Parla Marco Follini
È di ritorno da un dibattito lucano su Shakespeare e la politica, Marco Follini. Qualche giorno fa, mentre le consultazioni si agitavano nel mare dell’incertezza, l’eterno democristiano, che nel 2009 il Pd scelse come capo della comunicazione, già vicepremier di un governo Berlusconi, cinguettava su Twitter: “Popolari, liberali, socialisti. Il tema è come costruire l’arca dei non populisti. Senza pop corn”.
Popolari, liberali, socialisti. Il tema è come costruire l’arca dei non populisti. Senza pop corn
— Marco Follini (@MarcoFollini) 10 maggio 2018
L’analisi ricalca quella dell’Economist: la nuova linea di demarcazione politica, nella Terza repubblica in divenire, è tra società aperta e chiusa, il che impone una ridefinizione degli schieramenti in campo. “In questi anni, Forza Italia e il Pd hanno tentato di realizzare un melting pot mettendo insieme culture politiche diverse. Oggi possiamo dire che hanno fallito entrambe. Accantonate le personali esperienze contingenti di Di Maio e Salvini, l’onda populista rischia di avere l’egemonia culturale per i prossimi quindici o vent’anni. L’unico modo per scardinare questa corrente d’opinione è costruire un’arca che accolga liberali, popolari e socialisti, ciascuno con la propria storia e identità, e nessuno rinchiuso nel recinto del passato’. Lei immagina dunque un’Italia proporzionalista fondata sulla regola ‘pares cum paribus'”.
“È giunto il momento di toglierci di dosso i travestimenti con cui ci siamo camuffati. Ognuno deve tornare a essere compiutamente se stesso, l’allegra mescolanza non ha portato buona sorte. Il patto sociale del dopoguerra, all’origine della fortuna delle nostre contrade, si è fondato sul nesso tra democrazia e sviluppo, e tra democrazia ed equità. Adesso questo connubio si è rotto in tutto l’Occidente, da noi in modo ancora più virulento perché a tutto ciò si è sommata la disinvoltura con cui, da qualche decennio, una cospicua parte della classe dirigente ha pensato bene di civettare con l’antipolitica. Immaginare che un’ipotetica riscossa possa montare sull’onda delle delusioni, inevitabilmente generate dalla diarchia Di Maio-Salvini, mi sembra al limite dell’ingenuità”.
A proposito dei due giovani leader: nelle consultazioni al Pirellone, in assenza di un formale incarico del capo dello Stato e attorno a un programma che vincola ex ante il futuro premier, è ravvisabile una buona dose di irritualità? “Senza dubbio assistiamo a una dinamica innovativa, per essere gentili. Però non basta farsi forti dei loro errori, dobbiamo ragionare anche sui nostri. È lecito evidenziare quanto sia approssimato il modo di procedere dei due dioscuri, quanto sia traballante il carretto che si trovano ad allestire. È vero, ma troppo facile. Il punto è capire che si è messa in movimento un’onda molto possente che durerà – temo - più a lungo del destino personale di questi leader”.
Nell’arca da lei prefigurata, in un’Italia proporzionalista, il Pd non ha più ragione d’esistere. “Non scommetterei sul suo avvenire. Credo che sarebbe utile un’operazione verità che consenta a ciascuno di riappropriarsi della propria identità. In Francia Emmanuel Macron, uomo di cultura liberale e di establishment, ha posto in cima alla propria agenda il principio di responsabilità”. In altre parole, si è proposto per quello che è. “Esatto, senza infingimenti, senza alchimie indigeste”.
Ospite di Lucia Annunziata, Carlo Rossella ha dichiarato che un fronte unico anti-populista riporta d’attualità una versione aggiornata del Patto del Nazareno. “Se le armate della rivincita sono affidate ai generali in campo negli ultimi anni, dubito che si andrà lontano. Con tutto il riguardo per Renzi e Berlusconi, non partirei da qui. La partita di ritorno deve essere affidata a giocatori completamente nuovi”. Nel centrodestra circolano i nomi di Mario Draghi e Urbano Cairo. A sinistra nel dopo-Renzi sembra profilarsi un nuovo-Renzi. “Non conosco Cairo, non saprei giudicare. Stimo Draghi, sicuramente il suo profilo risponde a quello di una riserva della Repubblica. Ma guarderei più verso la periferia. È necessario aprire le porte dei partiti a figure nuove da individuare nelle amministrazioni locali, nelle professioni, in giro per l’Italia. Nel 1945 chi avrebbe immaginato quali personalità avrebbero animato l’Assemblea costituente? Occorre una classe dirigente che, anziché fare scaricabarile, si carichi sulle spalle il peso delle difficoltà del paese”.
storia di una metamorfosi