Prodi e D'Alema cannoneggiano (da sinistra) contro il loro successore a Palazzo Chigi, Matteo Renzi

Redazione

In due interviste, su Repubblica e Corriere della Sera, gli ex premier della sinistra criticano l'attuale presidente del Consiglio. Gli oppongono un'età dell'oro in cui il Partito era collegiale, non c'era il liberismo dei Reagan e dei Clinton e il Partito della Nazione era ancora di là da venire.

Dopo la sconfitta elettorale del Pd due ex presidenti del Consiglio e padri fondatori del centrosinistra, Massimo D’Alema e Romano Prodi, attaccano la linea politica del partito e del governo a guida Renzi. Sul Corriere della sera D’Alema dice che Renzi dovrebbe dimettersi da segretario del Pd: “Serve una figura che si occupi del Pd a tempo pieno. E serve una direzione collegiale. Il partito è stato volutamente lasciato senza guida. Lo si ritiene non importante oppure si scarica su di esso la colpa quando le elezioni vanno male. È tutto puntato sul leader e il suo entourage, neanche collaboratori. Renzi non convoca la segreteria, che pure è un organo totalmente omogeneo. Si riunisce solo con un gruppo di suoi amici”. Secondo l’ex segretario del Pds Renzi sta distruggendo il partito e il suo elettorato: “Una parte molto grande dell’elettorato di sinistra non si riconosce nel Pd, non lo sente come proprio, non si mobilita. Lui non si è limitato a rottamare un gruppo dirigente; sta rottamando alcuni milioni di elettori”.

 

Secondo D’Alema la grave colpa di Renzi e l’origine dei problemi del partito sarebbe proprio l’aver messo da parte la vecchia classe dirigente, di cui D’Alema fa parte: “Sarebbe necessario un cambio di indirizzo nell’azione di governo, e anche un cambio di stile. Compreso il rispetto che dovrebbe essere dovuto a una classe dirigente che ha vinto le elezioni e ha fatto cose importanti per il Paese: l’euro, le grandi privatizzazioni, la legge elettorale maggioritaria uninominale; non quella robaccia che ci viene proposta adesso – dice l’ex ministro degli esteri - il paese nella seconda metà degli anni 90 è cresciuto”. Inoltre, in maniera un po’ contraddittoria, D’Alema apre l’intervista dicendo che alle amministrative ha votato “Come sempre: secondo le indicazioni del partito” e la chiude dicendo che al referendum di ottobre “Voterò no”, in contrasto con le indicazioni del partito.

 

Su Repubblica invece Romano Prodi fa un discorso più generale, che tenta di dare una spiegazione all’esplosione del voto di protesta a livello globale e allo stesso modo critica la risposta renziana: “Lo chiamano populismo perché pur nell'indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l'insicurezza economica, la paura sociale e identitaria – dice Prodi - L'iniquità post-Thatcher e post-Reagan si è sommata alla dissoluzione della classe media, terribile tendenza di tutte le economie sviluppate e di mercato, e sotto tutti i regimi”. Secondo l’ex presidente della Commissione europea la risposta di Renzi non è stata altro che “il rinnovamento per il rinnovamento” e si è rivelata insufficiente, anche perché ha si è allontanato dalle radici del pensiero di sinistra: “Quando il socialismo era all'opposizione appariva come la grande alternativa. Ma cos'è successo poi? Una fortissima omologazione delle politiche, da Clinton alle grandi coalizioni tedesche all'Italia... Non mi faccia dire del "partito della nazione", ma è chiaro che qualcosa del genere è accaduto anche qui”.

 

In pratica le cose sono andate così. Un tempo il mondo era un posto fantastico tutto crescita economica e giustizia sociale, poi sono arrivati Margaret Thatcher e Ronald Reagan che hanno distrutto il welfare, impoverito la classe media e aumentato paura e insicurezza sociale. La loro ideologia è diventata dominante totalizzante, tanto da essere sposata anche dai democratici di Bill Clinton e ora dal “partito della nazione” di Matteo Renzi. In mezzo a tutta questa catastrofe epocale e globale svettano due leader che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio sono riusciti a garantire all’Italia anni di crescita economica, stabilità politica e giustizia sociale. Ora i nostri prodi sono pronti a tornare a combattere per salvare il paese.