Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi e la carta per evitare che il rinnovamento sia murato dentro Palazzo Chigi

Claudio Cerasa
Il presidente del Consiglio può seguire la strada suggerita da Ezio Mauro, ossia rottamare in sostanza il Pd della rottamazione, oppure iniziare a fare quello che un tempo gli riusciva bene: sorprendere, sparigliare, scommettere sul futuro. Il rilancio passa attraverso un rinnovamento che non si deve limitare alla sola idea di rottamare “l’austerity dell’Europa”.

Matteo Renzi può seguire la strada che suggerisce Ezio Mauro e fare un passo indietro, rivedendo la propria strategia, sostituendo il trapano con il cacciavite, rivalutando il lavoro molto importante di Enrico Letta, rispolverando magari qualche caminetto e rottamando in sostanza il Pd della rottamazione per evitare di continuare a “governare senza una storia politica a far da cornice e dei valori di riferimento”. Può trasformarsi, come suggerisce Rep., in un leader a metà tra Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta, più qualche sfumatura alla Rosy Bindi, recuperando “i valori” che portarono il Pd a conquistare nel 2013 il 25 per cento dei voti: sarebbe una mossa legittima, certamente migliore della scelta di governare un partito senza avere nessuna voglia di governarlo davvero. Può fare così, Renzi, perché rottamare e governare insieme è quasi impossibile e inseguire sul terreno dell’innovazione chi non governa è un’operazione spericolata, quasi impossibile, forse suicida.

 

Oppure può prendere una strada diversa, Renzi, alternativa a quella suggerita da Rep., e iniziare a fare quello che un tempo al presidente del Consiglio riusciva particolarmente bene: sorprendere, sparigliare, scommettere sul futuro. E sostituire la R di rottamazione con altre cinque R: riforme, ricambio, rinnovamento, rivoluzione, rilancio. Può riportare il Pd nella “cornice” all’interno della quale si muovevano con agilità Pier Luigi Bersani, Enrico Letta e Massimo D’Alema, Renzi, oppure può sorprendere, appunto, i suoi elettori e i suoi potenziali elettori e i suoi nuovi antipatizzanti dimostrando che il rinnovamento, scusate, si è solo inceppato e che i passaggi a vuoto si superano non solo mettendo qualche toppa al governo (rimpasto) o recuperando qualche capocorrente del passato (rimescolamento) o concedendo uno spezzone di riforma alle minoranze del partito (Italicum) ma si superano facendo quello che oggi a Renzi manca: creare nuove leadership, portare il ricambio generazionale fuori da Palazzo Chigi, trasformarsi in un talent scout del rinnovamento, scommettere sulle Raggi e le Appendino del Pd e correre il rischio di far circolare sul territorio una serie di nuovi leader che potranno anche commettere errori e che potrà anche in alcuni casi oscurare la leadership del presidente del Consiglio, ma che aiuterebbe il partito di governo a non murare il rinnovamento dentro il perimetro di piazza Colonna. Vale per il partito, ovvio, ma vale anche come criterio futuro, nella selezione della classe dirigente, per evitare di essere percepiti solo, come ha ricordato ieri Sergio Chiamparino, come una macchina che produce esclusivamente nomine e potere.

 

Il rilancio di Renzi passa attraverso una forma di rinnovamento che non può limitarsi alla sola idea di rottamare “l’austerity dell’Europa” e che non può prescindere da un concetto semplice: continuare a rivoluzionare geneticamente la sinistra italiana, con un mix fatto di riforme strutturali (meno tasse, meno spesa pubblica, meno debito, meno timidezza sulla giustizia, meno esitazione sulla Pubblica amministrazione) e ricambio generazionale (Renzi si è mai chiesto come mai ci sono pochi Renzi in giro per l’Italia?), e sfuggire il più possibile dalla tentazione di recuperare i “valori di riferimento” della sinistra tradizionale. La rottamazione da posizioni di opposizione oggi non funziona più, ovvio. Ma la rottamazione dal governo può funzionare. Basta guardarsi intorno. Basta fare scouting. Basta rischiare. Basta volerlo. Non per rincorrere Grillo. Ma per non farsi rincorrere dai fantasmi perdenti della sinistra del passato. Quando si comincia?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.