Matteo Salvini (Foto LaPresse)

Scenario minimo del degrado cui la confusione della politica ha condotto tutti

Adriano Sofri

L’inciucio e le poltrone rivendicati. Siamo a questo punto

Salvini in spiaggia a Milano Marittima fece un po’ di confusione fra il rivendicare i pieni poteri e l’averli già. E gli altri, pressoché tutti gli altri, sembravano inebetiti, come se Salvini li avesse già. E’ stata la prima volta, mi pare, in cui si è sostituito senz’altro il sondaggio alle elezioni. Poi i 5 stelle hanno messo su il disco rotto del taglio dei parlamentari – rende l’idea, un rumore, un umidore da sega circolare – e del tradimento del fellone Salvini. Zingaretti si è detto pronto, anzi quasi anelante, alle elezioni, e che altro poteva dire? Fosse stato lui ad avanzare l’obiezione che forse non era detto che si andasse alle elezioni perché l’aveva deciso Salvini se lo sarebbero mangiato in pinzimonio. L’obiezione l’aveva avanzata a suo modo Conte, annunciando che avrebbe detto la sua in Parlamento. Nel giro di pochi giorni le cose hanno mostrato una piega inaspettata. Salvini ha trovato a sud un po’ di devoti in meno e un po’, un bel po’, di disgustati in più. E’ sembrato sempre più intontito lui, e ridicolo, non come sempre, più ridicolo. Aveva riempito la drammatica fine del governo con argomenti come il ritorno del culo e/o delle chiappe dei parlamentari (avranno conservato un tantino di suscettibilità ’sti parlamentari, oltre alla seccatura di abbandonare i gommoni), ora riempie due o tre comizi al giorno con le poltrone, non si schiodano dalle poltrone, sono attaccati alle poltrone – c’è una fissazione ai deretani nella politica del cambiamento. Argomento peraltro complementare a quello del taglio dei parlamentari, l’estremo feticcio dei 5 stelle mutilati di reddito di cittadinanza e Tav.

 

Permettendo magari a qualcuno di pensare alla buon’ora che l’attaccamento alle poltrone, per esempio al seggio e alla responsabilità e alle possibilità del lavoro parlamentare, ma anche del resto, sindaci, consiglieri e tutte quelle cose che si guadagnavano chiedendo la fiducia della gente, è un sentimento di cui andare fieri. E il feticismo dei 5 stelle sulle poltrone sta per cedere come una frana rovinosa all’abolizione del limite di due mandati, immagino: e come la giustificheranno, se non con l’utilità e la nobiltà, almeno potenziale, delle poltrone? Diranno che sono rassegnati al sacrificio di restarci seduti su, nonostante tutto? Bene, nell’intontimento generale, Beppe Grillo, l’apprendista stregone più disgraziato che si ricordi, ha detto: macché elezioni, fuori i barbari. Un paio di minuti dopo ha sputtanato tutto inveendo contro gli eventualissimi aderenti all’appello: “sciacallaggio da avvoltoi” – e no!, o sciacalli o avvoltoi, caspita. Allora Matteo Renzi, che ha d’occhio l’interesse del paese solo un po’ meno dell’interesse per Renzi Matteo, e sa vedere gli spiragli e entrarci, ha giocato la sua carta. Programma minimo: riprendersi per un giorno o due il centro della scena. Massimo: sventare sul serio le elezioni, mettere Salvini nell’angolo, e rientrare nel gioco del governo, con uno scotto, il famoso taglio dei parlamentari. Zingaretti, noblesse oblige, o riflesso condizionato, ha reagito dicendo no e facendo appello all’unità. (Niente di più ragionevole, ma non conosco debolezza politica più grave di quella di far appello all’unità). Naturalmente, dentro di sé, cinque minuti dopo, si sarà congratulato di una mossa che poteva levare a lui le castagne dal fuoco e i pieni poteri dalle tasche di Salvini, dal momento che governo di scopo o di legislatura, per tentarsi davvero, avrebbe avuto bisogno di passare per lui, nonostante la quota di parlamentari intestata a Renzi. Tant’è vero che Di Maio, il testimone insuperabile della falsità del proverbio per cui si impara qualcosa dagli errori, si è precipitato a dire che “a tavola con Renzi mai”: infatti l’unica cifra distintiva dei 5 stelle, quella che resiste allo sgretolamento di ogni altro connotato, è l’assolutezza del veto. La Tap: mai. La Tav: mai. Con Berlusconi: mai. Con Salvini: mai. Con Renzi: mai. Con se stesso: mai, o quasi – è la logica del secondo mandato.

 

Siamo a questo punto. All’inciucio. La faccenda dell’inciucio è come quella delle poltrone. Va rivendicato, quando vale la pena. E disprezzati i suoi parassiti, rotti a tutte le complicità, come questo anno lunghissimo ha mostrato. Il punto è sempre quello: nelle elezioni, e di conseguenza nella politica parlamentare e nei suoi esiti governativi, non si può cercare la realizzazione dei propri ideali, che va invece cercata nella vita quotidiana personale e sociale – ed è molto più raro e molto più impegnativo – ma l’equilibrio, il compromesso, di volta in volta meno sfavorevole agli ideali cui ci si ispira. Si è trascinata per più di un anno la stupida polemica sul Pd che non essendosi alleato coi 5 stelle ha favorito l’alleanza dei 5 stelle con la Lega. Quel Pd, dopo quella sconfitta e con le sue rivalità interne – sono più accaniti i cannibalismi quando si perde, perché gli umani sono stupidi, e anche i pesci tirati su dai pescatori continuano ad addentarsi boccheggiando – non era in grado di accettare quella alleanza, che altrimenti sarebbe stata ragionevole, se non al costo di dissolversi.

 

Oggi il Pd è sempre un increscioso accumulo di piccinerie, ma il peso reciproco suo e dei 5 stelle è di fatto mutato, si è visto a che punto di degradazione la Lega di Salvini abbia spinto la vita civile, e certo anche a che punto di servilismo e di inettitudine Di Maio e i suoi l’abbiano servita. E alcune soggezioni hanno rivelato un’anima cattiva e retriva dei 5 stelle, gli stilisti dei taxi del mare e i protettori del Salvini dalla Diciotti e i votatori della sicurezza bis, altrettanti fatti compiuti che impediranno loro di ottenere le attenuanti generiche dell’aver agito in stato di stupidità. Ma la democrazia parlamentare ha ancora delle regole. Le elezioni europee valgono a eleggere i rappresentanti nel Parlamento europeo, non ad accaparrarsi quello nazionale. E tanto meno i sondaggi. E l’accusa di voler evitare le elezioni subito perché si ha paura dell’esito del voto? Certo, perché no. La composizione del Parlamento è ancora quella di un anno e mezzo fa, quella da cui si uscì con il governo cosiddetto gialloverde. Erano possibili altre soluzioni: lo sono ancora. Naturalmente, visto che si vive di citazioni, chi ha più filo tesserà. Ma si riconosca almeno che questo è lo scenario.