Il pudore del potere
Col voto si può recuperare la grammatica istituzionale distrutta da Salvini e Di Maio
Salvini e di Maio dovrebbero scoprire un valore antico, quella del pudore della politica e del potere, smarrito da sempre in questi 12 mesi di governo trascorsi tra insulti e bugie. Purtroppo anche ora in cui il più incompetente governo della storia repubblicana è andato in frantumi, la rissa continua dimostrando così di che pasta sono questi acerbi protagonisti della politica. Luigi Di Maio in questi dodici mesi altro non ha fatto che essere il maggiordomo di Matteo Salvini. Gli ha dato poteri sui porti poteri assoluti al di fuori di ogni decisione o ratifica del Consiglio dei ministri e trovando di volta in volta una scusa per quel che doveva fare e che non faceva come nel caso dell’Ilva di Taranto per la quale parlò di contratti segreti che gli imponevano la vendita agli indiani di ArcelorMittal. Più ancora fu l’alibi sciocco di un bambino capriccioso quando avendo il suo presidente detto si alla Tav fa presentare al proprio gruppo parlamentare una mozione contraria all’opera. Una elementare grammatica politica avrebbe imposto a Di Maio di dimettersi e di ritirare la propria delegazione dal governo dopo la pronuncia di Conte così come avrebbe imposto a questo strano presidente del consiglio di andare subito in parlamento e chiedere la fiducia per se e per il suo governo. E invece no. Si è giocato a rimpiattino da spavaldi incompetenti dimenticando che si stava al governo del paese. Anzi l’accordo iniziale tra i due capibastone era che ognuno incardinasse qualche decreto legge nell’ambito delle proprie competenze senza alcuna interferenza dell’altro e che venisse poi votato ad occhi chiusi non solo dal consiglio dei ministri ma anche dalle camere con parlamentari sempre più bloccati dalla paura di non essere rimessi più in lista dai due padri padroni.
In 12 mesi il parlamento è stato umiliato e svuotato di ogni potere con il fanciullo Di Maio che espelleva chi non si adeguava. Un disastro democratico senza precedenti di questo movimento nato da un comico e travolto nella sua stessa comicità. Sull’altro versante Salvini ha lasciato briglia sciolta a Di Maio mentre lui cavalcava solo il tema dei migranti nascondendo peraltro il fatto che entravano clandestinamente nel nostro paese più emigrati di quelli che lui bloccava sulle navi in sosta presso quei porti rimasti chiusi per alcuni giorni. E intanto non partecipava ad alcuna riunione in sede europea per richiamare con forza l’Unione al dovere di solidarietà tra tutti i paesi. La vergogna politica, però, si arricchiva di altri episodi come quello di convocare al Viminale le parti sociali con alla sua destra il sottosegretario Giancarlo Giorgetti che a sua volta assisteva il presidente Conte quando la stessa riunione si ripeteva a Palazzo Chigi qualche giorno dopo. Questa rappresentazione di due governi in uno è andata in scena anche nell’aula del Senato durante la quale si sono alzati dai banchi del governo due suoi membri dicendo due cose uguali e contrarie. Uno scempio istituzionale nel silenzio peloso di Giuseppe Conte, quello che ci aveva detto a gennaio scorso che questo sarebbe stato un anno bellissimo sul terreno della economia e che chiosò in quella occasione che la vicenda Tav non intaccava il governo nella sua maggioranza. Una tragica commedia dell’arte, insomma, in cui si muovevano tre personaggi in cerca d’autore, Conte, Salvini e di Maio.
Ma il putinismo non è un modello.
L’unico che sembra aver trovato il proprio autore è Salvini sempre più ispirato dal suo amico Putin e dal suo modello di governo. Noi non diremo che il partito di Salvini è passato dal cappio sventolato alla Camera nel 1993 ai diamanti di Belsito ed ai 49 milioni scomparsi perché siamo da sempre abituati a ragionare di politica e non a scivolare in una rissa di cortile ma diciamo con forza che il disegno di Salvini di riportare l’Italia sempre più nell’area di influenza della Russia di Putin scardinando l’Unione europea è un disegno folle ed autoritario ed in netto contrasto con la volontà e della tradizione della maggioranza degli italiani che restano europeisti e atlantici. Questa scelta di Salvini coerente con quella voce fuggita qualche sera fa che chiedeva agli italiani pieni poteri va contrastata innanzitutto dentro la lega, un partito nel quale sembra che nessuno più parli o pensi, ma innanzitutto da quel mondo produttivo del nord oltre che dalla intera società civile che ha conquistato la libertà, la democrazia e lo sviluppo economico grazie a milioni di morti ed agli sforzi di tanti. Forse è giunto il momento che uomini e donne sino ad ieri divisi ritrovino quel minimo comune denominatore politico e culturale per una diversa offerta politica perché mai come ora la posta in gioco riecheggia tragicamente quella stessa delle elezioni del 1948.
storia di una metamorfosi