Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio (LaPresse)

Il giorno dei sorrisi tra M5s-Pd (ma ai grillini piacerebbe di più Zingaretti che Renzi)

Valerio Valentini

La Capigruppo litiga per il calendario, su cui martedì ci sarà il test della "nuova" maggioranza. Salvini nell'angolo

Roma. Mentre i corridoi del Senato fremono d’attesa per scoprire il responso della conferenza dei capigruppo, Laura Castelli e Antonio Misiani parlano fitto fitto, nella Sala del Risorgimento di Palazzo Madama. E a vederli conversare così, la viceministro grillina dell’Economia e il responsabile economico della segreteria del Pd, con con quell’aria che è già quasi confidenziale, un senatore grillino che passa di lì, alludendo al busto di Giuseppe Mazzini che troneggia accanto a loro, azzarda: “L’accordo della giovine Italia”. Castelli mette le mani avanti: “Bisogna fare un passo per volta. E il prossimo, di passo, è stabilire il calendario qui al Senato”.

 

Però, dietro questa cautela di facciata, l’intesa evidentemente c’è e passa per la costruzione di un asse che metta fuori dai giochi, o almeno provi a farlo, i due Matteo. Perché da un lato c’è Salvini, che vede allontanarsi l’ipotesi per cui aveva deciso di far saltare il banco: il voto a ottobre. E dall’altro c’è Renzi, che per primo aveva invocato un “governo istituzionale”. Ed è proprio per evitare di vedersi marginalizzato ad opera dell’ex segretario che il segretario attuale, Nicola Zingaretti, su imbeccata del suo mentore Goffredo Bettini, alla fine ha deciso di rilanciare. Un’intesa col M5s la si può trovare, purché presupponga non un governicchio di qualche mese – utile solo a rimandare, e forse anche a farlo lievitare nelle proporzioni, il trionfo della Lega – ma un patto di legislatura per un “governo di contenimento”, sì, ma senza scadenza. Ed è per questo che Zingaretti valuta, ora, la prospettiva da proporre, quando sarà al momento, a Sergio Mattarella: un accordo col M5s su tre o quattro punti programmatici, e un rinnovo complessivo dell’organigramma dell’attuale esecutivo. Del resto lo stesso Luigi Di Maio sembra aprire a Zingaretti. E lo fa proprio chiudendo, almeno in parte, a Renzi. 

    

 

Nessuno vuole sedersi al tavolo con Renzi”, scandisce Di Maio su Facebook. Ma più che una scomunica al Pd, quello del vicepremier grillino è un tentativo di tranquillizzare i suoi parlamentari. Di Maio li convoca a Montecitorio, in mattinata, e gli interventi contrari al rinvio del voto anticipato si contano sulle dita di una mano. Quando Paola Taverna ricorda le battaglie combattute contro il Pd nella scorsa legislatura, c’è chi le rinfaccia quelle che furono combattute contro la Lega, prima di farci un governo insieme. E insomma, col Pd sì, ma meglio se con Zingaretti.

  

Il tutto, però, passa per i nuovi equilibri parlamentari. Salvini ha fatto di tutto per evitare che la crisi si dovesse risolvere nelle Camere, e invece è proprio qui che rischia di finire impantanato. Lo si capisce quando la conferenza dei capigruppo annuncia che l’indomani l’Aula di Palazzo Madama sarà chiamata a esprimersi sulla calendarizzazione dei lavori. E a essere messa ai voti, per prima, sarà la proposta di quella che tecnicamente è una nuova maggioranza, o quantomeno una bozza che potrebbe però valere come segnale per il Quirinale: M5s, Pd, Misto e Autonomie chiedono che il 20 agosto Giuseppe Conte venga a riferire in Aula. E i voti a favore – al netto degli assenti – potrebbero sfiorare i 170, ben oltre la soglia di 161. E poi? “Poi si vedrà”, dice la Castelli, alludendo al fatto che difficilmente il premier si dimetterà, “anche perché il 24 c’è il G7 a Biarritz, e c’è da ufficializzare la nomina del commissario europeo”.

  

Un nome che avrebbe dovuto fare la Lega ma che Salvini rischia di vedersi scippato. E’ una delle conseguenze di una crisi generata forse con troppa sicumera e troppo in ritardo, ma che di certo ora mette il leader della Lega nell’angolo, costringendolo a offrire un accordo a quella Forza Italia la cui vicinanza lo imbarazza non poco. L’offerta c’è, delineata per ora più con Nicolò Ghedini e Licia Ronzulli che non Berlusconi, ma non sembra allettante. E forse anche per questo Anna Maria Bernini, quando le si chiede di un Cav. tornato ago della bilancia, scuote la testa: “Qui l’ago della bilancia rischia di essere Renzi. Può prendersene anche quaranta”, dice, enigmatica, riferendosi ai suoi senatori, che in effetti sono attraversati da malumori notevoli. Non stupisce allora che la capogruppo di FI, salutata da Roberto Calderoli, replichi algida: “Ah, quindi ora siamo tornati amici?”. Pochi metri più in là, Stefano Patuanelli e Andrea Marcucci, capigruppo di M5s e Pd, scherzano da buoni amici: “Ti vedo abbronzato”, se la ridono, alludendo alle mancate ferie d’agosto. Poi pianificano la strategia che, nella conferenza con la Casellati che di lì a poco fisserà il timing della crisi, li vedrà concordi. Per ora sono sono tecnicalità d’Aula. “Un passo per volta”, come dice la Castelli.

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