Casini: “Non si può consentire che a scegliere modi e tempi della crisi sia Salvini”
Il ruolo cristallino di Mattarella, l’inevitabile convergenza delle anime del Pd: Renzi e Zingaretti devono trovare un’intesa
Roma. Se gli si chiede un pronostico secco, lui un po’ riluttante se la cava così: “Complicata, ma non impossibile”. Lo dice Pier Ferdinando Casini, al termine di una giornata trascorsa a Palazzo Madama a cercare di capire la piega degli eventi. “E’ ancora tutto confuso”, dice l’ex presidente della Camera, ora senatore nel gruppo delle Autonomie, “ma mi sembra che anche nel Pd piano piano si stiano incastrando i vari pezzi. Diamo tempo al tempo: del resto tutti sanno che questa operazione, un governo alternativo ancora tutto da delineare, se la si farà la si dovrà fare sia con l’assenso di Nicola Zingaretti, sia con quello di Matteo Renzi”.
Eppure i due, il vecchio e il nuovo segretario, sembrano piuttosto propensi a bisticciare tra loro, che non a trovare un’intesa a nome dell’intero Pd. E di tempo per ricomporre la frattura non sembra essercene tanto. “No, attenzione, non facciamoci prendere tutti dalla frenesia”, dice allora Casini, come rivendicando l’autorevolezza di chi ne ha viste tante, tra i corridoi del Palazzo, in 36 anni d’ininterrotta attività parlamentare, e non a caso ricorda quell’Emilio Colombo che, al termine di un concitato confronto col collega doroteo Piccoli, sibilò: “Caro Flaminio, ti dico solo una cosa: calma, calma, calma”. E’ dalla calma, dunque, che bisogna partire?
“Bisogna partire da un punto molto semplice: e cioè che non si può consentire che a scegliere i tempi e i modi di questi crisi sia Matteo Salvini, questo leader che più che il decantato stratega che tutti descrivono è semmai un pasticcione che ha innescato una crisi a Parlamento chiuso, su un pretesto inconsistente come una mozione sulla Tav, perché non voleva accollarsi la manovra. Ecco, chi non capisce che definire il percorso e i tempi della crisi non è questione di tecnicismi, ma è sostanza politica, non ha capito in che passaggio siamo”.
E dunque, che fare? “Mi pare chiaro: evitare che Salvini gestisca una eventuale campagna elettorale stando al Viminale, e trovare un accordo per un governo che si faccia non per salvare le poltrone, ma per tenere gli italiani al riparo dai rischi di questa crisi scriteriata, e innanzitutto l’innalzamento dell’Iva”. Un governo di scopo, dunque? O magari un’intesa di più lungo respiro, come nel campo del centrosinistra sembrano auspicare tutti i padri nobili, da Romano Prodi a Walter Veltroni, passando per Enrico Letta. “Non sono sicuro che al momento ci sia margine per una convergenza politica tra Pd e M5s. Ora bisogna garantire un percorso ordinato e sicuro a questa crisi, e a farlo non può che essere un nuovo governo. Ripeto, una cosa per volta, e lasciamo maturare gli eventi. D’altronde, qui ogni giorno ha la sua pena”.
E quella di domani, di pena, prende la forma di una votazione in Aula convocata dalla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, per definire il calendario d’Aula. “Una scelta inconsueta, da parte della presidente, che qui al Senato ha, a norma di regolamento, meno arbitrio di quanto non succeda alla Camera. Ma del resto, in questa situazione, di consueto c’è ben poco”. Ma domani, in Aula, potrebbe di fatto materializzarsi una nuova maggioranza, alternativa a quella gialloverde, composta da chi – M5s, Pd, Misto e Autonomie – chiede che il premier Giuseppe Conte venga a riferire al Senato il 20 agosto. Con Salvini messo in minoranza. “Sì, potrebbe essere un autogoal della Lega. Del resto, chi corre troppo finisce a volte per ragionare poco. E mi sembra evidente che Salvini ora stia rinculando, e non a caso chiede in modo così esplicito un accordo a Forza Italia, dopo avere inizialmente detto che sarebbe andato da solo”.
E Renzi? Come la valuta la sua mossa? “Be’, quando il gioco si fa duro, fuori i secondi. Renzi ha dimostrato di avere gli attributi, avrebbe potuto starsene nel suo Aventino, forse gli sarebbe convenuto in termini di pura tattica, e invece ha deciso di fare una proposta coraggiosa che gli costerà, peraltro, non poche critiche”. Lui che aveva sempre osteggiato l’accordo col M5s, lui che era quello del “senza di me”, che ora propone un intesa coi grillini? “La politica è fatta anche di strappi dolorosi, e non tutti sono disposti a compierli. Non c’è insomma, da strapparsi le vesti: bisogna anzi aspettare che si depositi la polvere di un dibattito convulso e un po’ scombiccherato. Bisognare stare calmi e tranquilli, e mantenere la lucidità”.
Prevede insomma una partita ancora molto lunga. “Mi affido a Vujadin Boškov”, sorride Casini, e la citazione quasi stride, a confronto con l’aneddoto di Colombo e Piccoli raccontato pochi minuti prima. “Partita finisce quando l’arbitro fischia. E qui l’arbitro non è neppure sceso in campo finora”. Il riferimento è evidentemente a Sergio Mattarella, tutt’ora lontano da Roma per qualche giorno di riposo in Sardegna. “La distanza, anche fisica, del presidente della Repubblica, testimonia in modo inequivocabile la terzietà del Quirinale. L’intera vicenda di questa crisi è torbida, ma la linea di Mattarella è chiara: il capo dello stato non briga per creare nuovi governi né per farne cadere altri. Prende atto dei numeri parlamentari”. E oggi, stando alle previsioni di chi è addetto alla conta, sulla calendarizzazione dei lavori qualcosa potrà rivelarsi: perché, al netto delle assenze, le previsioni parlano di 102 voti del M5s, 44 del Pd, 6 delle Autonomie e 11 del Gruppo Misto. Fanno 163, ed è sopra la soglia della maggioranza. Ma su questo Casini non si pronuncia: “Calma e gesso. Ogni giorno ha la sua pena”.
storia di una metamorfosi