Un giovane Ernesto Che Guevara nel film "I diari della motocicletta"

La terra promessa

Alberto Schiavone

Gli eroi son tutti giovani e belli, ma adesso che tutto sbiadisce vorrei un sogno per mia figlia

Ho sempre pensato che Garibaldi sarebbe potuto essere celebrato tanto quanto Ernesto Che Guevara, ma così non è, non è mai stato, e va bene lo stesso, anche perché il Che è un mito intoccabile seppure sgualcito come le magliette con la sua faccia che non si vedono e vendono più in giro.

 

Nella memoria perduta e nel mito sgualcito, senza che ce ne siamo davvero accorti, ci è finito tutto il Sud America. Cuba è un caso a parte fin troppo dibattuto e portato per iscritto.

 

Ma il Sud America non vale più bene nemmeno per il famoso e abusato sogno di aprire un chiosco di bibite sulla spiaggia. Anzi, a pensarci bene anche il chiosco di bibite sulla spiaggia è uscito fuori dall’orbita dei sogni desiderati, e forse è giusto così. Sai che palle, mandami una foto e siamo a posto.

 

Ma torniamo sopra e al motivo della riflessione. Nell’ultima settimana due scintille mi hanno gettato in questo sconforto avvolto dalla garúa: un incontro con le scuole e un concerto. 

 

 

Terminato un incontro con le scuole infatti, a seguito di una domanda generica sul femminicidio, una ragazza mi ha domandato cosa ne pensassi della morte della pagliaccia (sigh) in Cile. 

 

 

Le ho risposto che non facevo fatica a ipotizzare una truce uccisione, e che a quelle latitudini i militari se ne intendevano di repressione, torture e tutto il repertorio dell’orrore. Era storia, ho rievocato i mostri Pinochet e Videla, ho completato il discorso indicando al rinnovato gorgoglio che sta interessando la regione, dalla Colombia sotto coprifuoco alla Bolivia spodestata e ribaltata. Ho detto loro che mi dispiaceva, perché di quei territori, pur senza io esserne profondo conoscitore e nemmeno cantore, ne sono sempre stato affascinato aspirazionale camminante. Ho tirato fuori qualche nome, da Gardel a Enzo Francescoli. E accidenti, pensavo, nemmeno nel calcio laggiù producono sicuri fenomeni, siamo diventati diffidenti anche sulla loro università del calcio (avevano ragione i film con Lino Banfi e Aristoteles).

 

Sono finito appunto a evocare il santo, Che Guevara. Mi sono accorto che stavo parlando da solo, dall’altra parte non vi era magia, nemmeno suggestione. Il Sud America era ritornato un piatto territorio lontano che viveva di agricoltura o cose così, alla maniera in cui si rispondeva durante geografia.

 

La Poderosa del Che un pezzo di ferro sgangherato, la traversata del continente all’avventura una vera fatica, considerando che non esiste la guida Lonely Planet. D’altronde una guida turistica non necessita avventura, figuriamoci di Che Guevara.

 

A tal proposito, punto due, qualche giorno dopo mi trovavo al concerto di Daniele Silvestri. Era da un po’ che non frequentavo un suo live. Sul finale è partita Cohiba (sì, quella di della favola cubana che vorrei tu conoscessi almeno un po’). La cantavo con grande entusiasmo ai tempi miei della mia Bologna, all’Estragon. La ballavo saltellando, sgolandomi.

 

Questa volta mi ci sono trovato in imbarazzo. Sin dall’inizio, poi ho iniziato a guardarmi attorno ed è stato anche peggio. Sparute braccia alzate di uomini calvi con la barba lunga e sicuri problemi di reflusso. Il ritornello cantato da tutti (è un cavallo di battaglia di Silvestri) ma con la stessa intensità di Testardo, anzi, con meno divertimento. Mi sono intristito profondamente e a fine concerto ho fumato in silenzio fino all’auto, ragionando su quello che avevo ascoltato qualche giorno prima a scuola e sulle sensazioni provate durante il concerto.

 

Qualcosa si era rotto, e mi sono reso conto che si era rotto soprattutto in me. L’andare degli anni, certo. L’insoddisfazione per il presente. Non torna nulla che ci è piaciuto fare nel modo in cui l’abbiamo fatto.

 

Arrivato a casa ho avuto il permesso morale (contro il colesterolo, la sveglia del giorno dopo, la compiacenza di mia moglie) per aprire una bottiglia di bianco, chiudermi nel mio studio, sfogliare la libreria alla ricerca di suggestioni che mi riportassero sull’asse di un centro emotivo che non scorgevo più.

 

Soprattutto, mi sono chiesto: i miei figli quale Terra Promessa individueranno per sognare la giusta fuga, il mondo migliore, la rivoluzione individuale? 

 

Oggi a pranzo mio nipote mi ha fatto leggere la lettera che sta per spedire a Babbo Natale. Tra le varie voci l’acquisto di V-bucks, la moneta virtuale (che si paga) del mondo virtuale (che si vive) di Fortnite (alla maniera dei babbioni: un videogioco).

 

Il primo pensiero è stato quello di regalargliene tanti, spendere tanto, fare bella figura.

 

Il secondo pensiero, invero non proprio illuminante, è di Giuseppe Garibaldi: “Come tutto divien bello al sole della gioventù e della primavera”.

 

Gli eroi son tutti giovani e belli. Noi e gli itinerari delle nostre libertà ci sfaldiamo nel tempo, nei fallimenti, nell’incapacità di costruire sogni condivisibili dai nostri figli.

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