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La “pseudolingua” degradata invade lo spazio pubblico del Sudamerica

Guido Vitiello

La politica afferma il proprio dominio trasferendo un linguaggio tipico dell’oralità quotidiana intima alle più alte sfere governative

Nel Luna Park politico e giornalistico italiano il Sudamerica è da mezzo secolo la stanza degli specchi, dove ci piace ammirare il nostro riflesso ingigantito o deformato – da Moro che diventa Allende a Cofferati (e poi Craxi) che diventa Lula, per menzionare due celebritrompe-l’œil. Ma sarebbe cosa buona e saggia non chiudere gli occhi davanti agli specchi meno lusinghieri. Per esempio, c’è un paese a sud del Río Grande dove, dicono certi suoi abitanti allarmati, il dibattito pubblico ha preso da anni una piega pericolosa: “E’ molto vantaggioso dare alle persone comuni una sensazione di inclusione nel potere trasferendo un linguaggio tipico dell’oralità quotidiana intima, che tutti dominano, alle più alte sfere governative”. In questo modo lo spettatore “capisce che si può salire al vertice del potere senza operare nessun cambiamento. Non c’è bisogno di formarsi né di studiare: bastano l’audacia e la fedeltà al potere”. La “pseudolingua” degradata che invade lo spazio pubblico ha due fonti principali: la prima è un sistema scolastico malconcio; ma “la seconda è particolarmente perversa: è il caso delle persone perfettamente istruite e formate che scelgono di incanaglirsi”. Lo fanno per ottenere una rendita politica, ma così facendo rinnegano la loro missione. In questo e in altri crudeli specchi mi sono imbattuto leggendo il pamphlet collettivo “La neolengua del poder en Venezuela: Dominación política y destrucción de la democracia”, pubblicato avventurosamente a Caracas.

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