Le proteste a Santiago non si arrestano (foto LaPresse)

Perché si protesta in Cile

Maurizio Stefanini

Le manifestazioni di Santiago e il malcontento in altri paesi dell'America latina sono un fenomeno trasversale, che prende di mira governi di destra e di sinistra. Basta guardare alle difficoltà di Morales in Bolivia

Da 1,008 a 1,046 euro: al cambio, questo aumento di biglietto ha innescato in Cile la rivolta che ha già provocato 10 morti e 1.700 arresti, costringendo il governo di destra a dichiarare lo stato di emergenza e a portare i militari in piazza per la prima volta dalla fine del regime di Pinochet.

 

La metà del prezzo dei mezzi pubblici continua a essere sussidiata dallo stato, ma questo è il ventesimo aumento della tariffa da quando nel 2007 il sistema di trasporti avveniristico di Transantiago fu inaugurato al costo di 420 pesos al biglietto. Il trasporto a nella capitale è il secondo più caro dell'America latina dopo San Paolo, con un costo a persona che equivale al 13,8 per cento del salario minimo, contro ad esempio il 10 per cento di Buenos Aires, Città del Messico o Lima.

  

Le tariffe sono fissate da un Panel de Expertos del Transporte Público che ogni mese le calcola con una formula automatica in base a una serie di variabili. In più c'era anche da coprire l'acquisto di una nuova flotta di bus elettrici. Il primo ottobre è stato appunto fissato un aumento di 10 pesos per gli autobus e di 30 per la metropolitana di Santiago nelle ore di punta, sia pure compensato da un calo di 30 pesos per la metro nelle ore non di punta. Il tutto a decorrere dal 6 ottobre.

 

Il 7 ottobre, per protesta, gruppi di studenti di scuola secondaria hanno iniziato a saltare i tornelli. Sono seguiti i primi scontri e già il 17 ottobre il bilancio era arrivato a 133 arresti e danni per mezzo miliardo di pesos (62 milioni di euro). Ma è stato quello successivo il giorno della guerriglia urbana: barricate, intervento delle forze dell'ordine con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, tutte le 164 stazioni della metro chiuse, in fiamme il palazzo di Enel Generación Chile. Il presidente ha risposto con un discorso alla nazione in cui ha annunciato uno stato di emergenza di 15 giorni, che permette alle Forze Armate di pattugliare assieme ai Carabeneros. Ma la violenza è continuata, con saccheggi di negozi, incendi e nuovi scontri. A quel punto è stato imposto anche un coprifuoco dalle 22 alle 7, mentre lo stato di emergenza era esteso a Valparaíso e Concepción.

 

A quel punto il presidente ha annunciato il ritiro degli aumenti e un tavolo di confronto con i manifestanti. Ma la gran parte degli esercizi commerciali è rimasta chiusa, mentre anche il coprifuoco notturno è stato esteso alle regioni di Valparaíso, Biobío e Coquimbo. A sponsorizzare le mobilitazioni è sopratutto la Confech, la Confederazione degli Studenti, che già protestò duramente negli anni passati contro la scuola, accusato di discriminare i poveri. Tre persone sono morte in seguito a un incendio divampato durante il saccheggio a un supermercato; cinque per un incendio a un'industria tessile.

 

Secondo i dati Sace, il pil del Cile – guidato da un governo di destra – tra 2017 e 2018 è cresciuto del 4 per cento, ma l'aumento del pil pro capite si è sempre attestato attorno allo zero. Peraltro, anche nella vicina Bolivia il governo di sinistra di Evo Morales cresce a livelli del 5 per cento l'anno, ma secondo i dati della Cepal vede la povertà estrema aumentare. Al voto di domenica, per la prima volta da quando è presidente, Morales non ha vinto le presidenziali al primo turno, e si trova costretto a un difficile ballottaggio. La coincidenza va ricordata per ridimensionare lo slogan del numero due del regime venezuelano, Diosdado Cabello, secondo cui un “vento bolivariano” di protesta starebbe per travolgere i “governi di destra” che appoggiano Guaidó. In realtà i problemi nella regione sono trasversali rispetto al colore dei governi. Bolivia a parte, domenica prossima anche in Uruguay la sinistra potrebbe perdere le elezioni, anche se potrebbe vincerle in Argentina. E in Ecuador, dove la protesta era stata scatenata dalla organizzazione indigena Conaie contro la fine del sussidio ai carburanti, la stessa Conaie ha deciso di accordarsi con Moreno quando il “bolivariano” ex presidente Correa ha provato a metterci il cappello. “Opportunista” e “assassino” gli hanno risposto, ricordando i nomi dei dirigenti indigeni uccisi durante il suo governo.

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