Il governo cileno ha schierato i militari per le vie di Santiago (foto LaPresse)

La rabbia cilena

Maurizio Stefanini

La protesta in Cile nasce dall’aumento dei trasporti pubblici. Ci sono paralleli nel mondo

Roma. Sono molte le cause della rivolta che in Cile ha costretto il presidente Sebastián Piñera a inviare l’esercito in piazza per la prima volta dalla fine del regime di Pinochet, e che sta scuotendo la credibilità di un modello economico considerato finora solidissimo, con un tasso di crescita che nel 2018 era stato del quattro per cento. Ma la protesta cilena ha tratti nuovi: molte delle cause degli scontri, infatti, sono almeno in superficie dettate dal contrasto tra iniziative economiche green e il peso che queste impongono sui contribuenti. L’aumento da 800 a 830 pesos sulla metropolitana nelle ore di punta al cambio suona quasi ridicolo: da 1,008 euro a 1,046 euro. Questo tuttavia è il ventesimo rincaro da quando nel 2007 fu inaugurato il futuristico sistema della Transantiago, quando il prezzo era appena 420 pesos. E’ il prezzo più caro dell’America Latina, dopo quello di San Paolo. E le tariffe in Cile rincarano in continuazione per tutti i servizi: non a caso, vittima della rabbia è stata anche la locale filiale dell’Enel, il cui palazzo è stato dato alle fiamme. E, sopratutto, se il pil complessivo aumenta, quello pro capite è fermo da tempo.

  

  

Da qui l’irritazione verso un presidente che durante il suo primo mandato si era invece segnalato per la sua capacità di creare ricchezza diffusa. A innescare la rabbia anche una foto di Piñera che mangiava pizza in un lussuoso ristorante per il compleanno di un nipote: scattata da un altro avventore e postata su Twitter. Insomma: un po’ di ritorno alle immagini dei carri armati in strada stile golpe del 1973; un po’ di casta; un po’ di polemica “anti-neoliberista” sulle privatizzazioni. E il mostro in tavola è servito. Attenzione, però. A fissare i prezzi dei biglietti in Cile è un Panel de Expertos del Transporte Público, con una formula automatica in base a una serie di variabili. Le principali: prezzo del petrolio, cambio del dollaro e dell’euro, costo della manodopera, indice dei prezzi al consumo. Stavolta c’era anche da coprire l’acquisto di una nuova flotta di bus elettrici. Da notare che l’aumento di 30 pesos per la Metro di Santiago nelle ore di punta era compensato da un calo di 30 pesos per la metro nelle ore non di punta. Ma il consiglio di un ministro di “alzarsi alle sette” per usufruire della tariffa migliore è stato anch’esso considerato come una ulteriore provocazione, che peggio della pizza presidenziale ha acceso un’ira degenerata in furia vandalica.

 

E’ eccessivo pensare ai gilet gialli? Può sembrare un classica semplificazione da giornalista di Esteri malato di comparativismo, ma il paragone è stato fatto da un eminente sociologo cileno come Eugenio Tironi. Non un personaggio qualunque: tra gli intellettuali di riferimento dell’opposizione a Pinochet, e in seguito stretto collaboratore di due presidenti. Profondo conoscitore della Francia anche per averci studiato e per esservi stato esule, Tironi ha osservato “una certa somiglianza”. “Si tratta di ceti che non sono né i più vulnerabili e né i più poveri, ma di ceti medi strozzati dal costo della vita. E, spesso, basta una piccola goccia a far traboccare il vaso. In Francia è stato il prezzo del carburante e quello della revisione obbligatoria dei veicoli, qui può essere l’aumento del trasporto pubblico”.

 

Il caso Ecuador

In Ecuador, invece, è stato non un aumento delle tariffe per comprare bus elettrici o un provvedimento per ridurre le emissioni alzando le tasse sul carburante o obbligando a una revisione delle vetture, ma la semplice revoca di un sussidio sul carburante. Un sussidio che secondo il presidente Lenín Moreno lo stato non poteva più sostenere, e che per giunta alimentava il contrabbando con i paesi vicini.

 

L’organizzazione indigena Conaie si è sollevata, e probabilmente Moreno non ne sarebbe venuto a capo se il suo predecessore, ex-mentore e oggi arci-nemico Rafael Correa non avesse cercato di annettersi la protesta. La Conaie odia Correa più di Moreno, e quindi è scesa in trattativa col governo: ottenendo però la revoca del provvedimento, e in pratica la promessa che le comunità indigene potranno continuare a ricevere carburante sussidiato – e dunque potranno continuare a farne contrabbando, commentano i cinici.

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