(Foto LaPresse)

In America latina non c'è alcuna ribellione contro il neoliberismo

Maurizio Stefanini

Da giorni si mettono sullo stesso piano le rivolte in Cile e in Ecuador e i risultati elettorali in Argentina. La verità è piuttosto diversa

“L'America latina è in rivolta contro il neoliberismo”, è il mantra che in questi giorni sta circolando. E si cita il trio Cile-Argentina-Ecuador. Effettivamente in Cile la protesta continua, costringendo il presidente Sebastián Piñera a rinunciare a ospitare a Santiago il forum dell’Apec e quello dell’Onu sul cambiamento climatico. In Argentina Macri ha perso. In Ecuador la protesta ha obbligato il presidente Lenín Moreno a ritirare un contestato pacchetto economico. Tutti e tre i governi erano in prima linea contro Maduro, e il numero due venezuelano, Diosdado Cabello, ha fatto ironia sul “venticello bolivariano” che avrebbe ripreso a diffondersi nella regione.

 

Attenzione però. Proprio lo stesso giorno che Macri perdeva in Argentina contro il fronte peronista-kircherista, nel vicino Uruguay il Frente Amplio subiva una chiara sconfitta, con il 39,17 per cento appena di Daniel Martínez contro il 28,59 del candidato del Partido Nacional Luis Lacalle (i due si sfideranno al ballottaggio). I tre candidati del centrodestra hanno oltre il 50 per cento e i loro partiti hanno preso una ampia maggioranza alla Camera e al Senato. Presumibilmente, al secondo turno del 24 novembre avranno fine 15 anni di governo della sinistra. Da notare che invece il Frente de Todos di Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner non avrà la maggioranza al Congresso argentino, e vari indizi fanno ritenere che tra presidente e la vice sia possibile una frattura.

 

Allo stesso modo, in Bolivia Evo Morales ha infine accettato un riconteggio dei voti affidato all'Organizzazione degli stati americani che avrà il pieno potere decisionale. Un clamoroso cedimento che sembra sia dovuto alle fortissime pressioni di Bolsonaro: per via del mercato brasiliano del gas Morales vi è fortemente sensibile, come già successo nel caso Cesare Battisti. Ma la protesta contro i brogli elettorali continua, e anche in Bolivia si sono avuti i primi due morti.

 

Ma il quadro è anche più ampio. In Perù il presidente Martín Vizcarra ha prevalso nello scontro sul Congresso e ha indetto un voto politico anticipato al 26 gennaio. In Honduras ci sono state manifestazioni contrapposte dopo che il fratello del presidente Juan Orlando Hernández (di destra) è stato condannato negli Stati Uniti per narcotraffico. In Brasile, poi, il “destro” Jair Bolsonaro sta litigando con il suo stesso partito per la spartizione dei finanziamenti pubblici. In Messico il “sinistro” Andrés Manuel López Obrador è sempre più impotente nei confronti dei narcos. Nel Venezuela di Maduro e nel Nicaragua di Ortega continua la repressione. E alle Amministrative in Colombia l'opposizione ha conquistato Bogotá e Medellín. Nella capitale il nuova sindaco è Claudia López, una verde lesbica che è di sinistra, ma ha più volte criticato Maduro. Insomma, in realtà in tutta la regione c'è un momento di effervescenza. Dove sono al potere governi neoliberisti traballano i governi neoliberisti; dove sono al potere i governi di sinistra hanno problemi i governi di sinistra.

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