Genaro García Luna (foto LaPresse)

Il superpoliziotto antinarcos accusato di aver preso milioni dai narcos

Eugenio Cau

In Messico si parla di Genaro García Luna, che nel 2006 ha scatenato la guerra ai narcos ma – dice l’accusa – teneva per i cattivi

Milano. Quando, una settimana fa, la polizia americana ha arrestato a Dallas Genaro García Luna con l’accusa di aver ricevuto milioni di dollari dai narcotrafficanti, per i messicani è stato come scoprire che Sherlock Holmes era sempre stato in combutta con Moriarty, o che l’assassino in realtà era Hercule Poirot. Genaro García Luna, ex capo della polizia del Messico ed ex ministro della Pubblica Sicurezza dal 2006 al 2012, è stato l’uomo che ha architettato e gestito la guerra al narcotraffico che ha sconvolto il Messico negli ultimi 13 anni e ha provocato oltre 200 mila morti e 40 mila desaparecidos. Se il Messico è il posto del mondo in cui si muore di più dopo la Siria, è perché nel 2006 il governo di allora decise di inviare migliaia di soldati nelle strade per rispondere con la violenza alla violenza dei narcotrafficanti, provocando una reazione a catena da cui il paese non si è ancora ripreso. Il superpoliziotto che consigliò il governo di Città del Messico di intraprendere questa guerra, che gestì le operazioni sul campo in prima persona e che convinse il governo di Washington a riversare in Messico miliardi di dollari in aiuti economici e militari fu Genaro García Luna, che a partire dal 2006 divenne uno degli uomini più potenti delle Americhe, con migliaia di effettivi delle forze speciali armate fino ai denti e al suo comando. C’era un piccolo problema: i procuratori statunitensi dicono che Genaro García Luna era al soldo dei narcotrafficanti. Del più potente di loro, Joaquín “El Chapo” Guzmán, che usò la guerra al narcotraffico per colpire i suoi nemici e ingigantire i suoi affari.

 

 

Molti messicani non sono stati sorpresi nello scoprire che l’uomo che li ha condotti alla guerra contro i narcos in realtà era, secondo l’accusa, un alleato dei narcos. In Messico era un segreto piuttosto mal conservato, e negli anni molte inchieste giornalistiche avevano messo assieme vari pezzi dell’alleanza tra le altissime sfere del governo e i cartelli. Soprattutto, erano gli stessi narcos a dirlo. Nel 2008, nella città di Oaxaca, un gruppo di narcotrafficanti rivali di El Chapo espose in città un manifesto lungo 15 metri con scritto: “Genaro García Luna è il narcotrafficante più potente, lui e il suo gruppo… sono sicari al servizio del cartello di Sinaloa” (il cartello di Sinaloa è l’organizzazione criminale di El Chapo). Lo sostenevano anche molti esperti di sicurezza: come mai l’esercito messicano continua a colpire tutte le grandi organizzazioni di narcotrafficanti ma lascia quasi intatta quella di El Chapo? Sinaloa è da sempre il centro nevralgico del narcotraffico messicano, ma mentre all’inizio di questo decennio tutte le città del paese erano piene di soldati, a Sinaloa i militari erano relativamente pochi e poco attivi. E poi c’era la casa di García Luna, che dopo aver lasciato il governo nel 2012 si era ritirato a Miami in una villa da 3 milioni di dollari, molto al di sopra delle possibilità dello stipendio da funzionario pubblico messicano (lui sostiene di aver ereditato).

 

 

Nel 2016, quando ormai García Luna si era ritirato a vita privata, El Chapo è stato arrestato ed estradato negli Stati Uniti. Durante il processo, che si è concluso quest’anno, alcuni alleati del gran capo dei narcos hanno testimoniato di aver portato a García Luna valigette riempite con 3 milioni di dollari in banconote, in due occasioni. Lui aveva smentito tutto, anche perché in quel processo erano volate accuse di tutti i tipi, ma i procuratori di New York hanno continuato le indagini fino all’arresto, avvenuto a Dallas. Oggi si terrà nella città texana la prima udienza all’ex superpoliziotto, i messicani sono un po’ rassegnati e un po’ indignati, come ormai da 13 anni, e alcuni si chiedono: ma se il ministro che la guerra al narcotraffico l’ha congegnata era stato comprato dai narcos, forse lo era anche il presidente del governo che quella guerra l’ha annunciata? Il presidente di allora, Felipe Calderón Hinojosa, nega vigorosamente.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.