Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro (foto LaPresse)

I negoziati segreti attorno a Maduro

Maurizio Stefanini

Ci sono indiscrezioni di accordi tra America e Argentina per sbloccare la situazione in Venezuela e cacciare il dittatore senza spargere sangue

“Io ti aiuto a convincere Maduro a cedere il potere e a fare libere elezioni. Tu mi aiuti a ottenere una dilazione di pagamenti col Fondo Monetario Internazionale”. Si sa che l’Argentina alleva le vacche con la carne più buona del mondo, e che il commercio dei bovini ha sempre apportato al paese grandi risorse. Sia pure in senso metaforico, una nuova vetta nell’arte di mercanteggiare vacche sarebbe stata raggiunta in questa proposta che il presidente argentino Alberto Fernández avrebbe fatto a Trump. 

 

La notizia è venuta venerdì scorso sul canale tv América 24 da Eduardo Feinmann: un anchor-man abbastanza noto. “Secondo una mia fonte”, ha detto Feinmann, “Fernández sta trattando con Maduro perché lasci il potere con libere elezioni. La condizione è che non venga definito dittatore, e che venga lasciato libero di ritirarsi nella sua villa di Santo Domingo”. Il riferimento è a Villa La Caracola: una residenza faraonica che al costo di 18 milioni di dollari il presidente venezuelano e la moglie si sarebbero fatti per ogni evenienza a Ounta Cana, nella Repubblica Dominicana.

 

Maduro così uscirebbe senza danni personali da una situazione sempre meno gestibile. Fernández ne ricaverebbe il rinvio nella scadenza del debito di cui il suo ministro dell'Economia Martin Guzmán ha bisogno per provare la sua strategia di raddrizzamento dell’economia. E pure Trump potrebbe andare in campagna elettorale vantandosi di aver risolto un imbroglio sempre più destabilizzante per l’intera regione, con oltre 5 milioni di venezuelani già fuggiti, e l’avvertimento di Acnur e Oim secondo cui a fine 2020 il loro numero potrebbe arrivare a 6,4 milioni di persone, superando la Siria come prima emergenza migratoria mondiale.

 

Può sembrare sorprendente, proprio perché il giorno dopo Maduro ha annunciato di aver scoperto una nuova congiura contro di lui in cui sarebbe stato coinvolto Guaidó, e ha minacciato nuove sfuriate repressive. Ma Guaidó ha subito risposto con una intervista al País in cui insiste che “il Venezuela ha bisogno di una soluzione, sia quella che sia”. Insomma, lascia intendere che qualcosa si starebbe cucinando.

 

Comunque, che una mediazione di Fernández tra Maduro e Trump è in corso nella speranza di ottenere un aiuto col Fmi è stato confermato in modo ufficiale lo stesso giorno di venerdì dal ministro degli Esteri Felipe Solá in una intervista del alla rivista brasiliana Epoca. “Il governo degli Stati Uniti sa che può contare con il presidente Alberto Fernández per realizzare gestioni complicate che la Casa Bianca non può fare in Venezuela”, ha detto alla giornalista Janaína Figueiredo. “Questo è un ruolo molto importante per dare stabilità a una situazione che è molto instabile”. E ancora: “in concreto, è stato chiesto a  Fernández di gestire temi di interesse degli Stati Uniti, cercando un accordo con il governo venezuelano”.

 

Per il momento, secondo Solá, Fernández su richiesta di Trump avrebbe ottenuto da Maduro il passaggio dal carcere ai domiciliari per sei dirigenti statunitensi della Citgo: la filiale americana della società petrolifera di stato Pdvsa, arrestati nel novembre 2017 con un'accusa di corruzione mai veramente dettagliata, ma che comunque aveva portato a condizioni di detenzione molto penose. Il passaggio ai domiciliari sarebbe un primo passo verso un ritorno negli Stati Uniti.

 

Solá però fa capire che sarebbe un primo passo, e che appunto si potrebbe poi trattare su altri punti. Commentando la notizia, un gruppo di giornalisti e analisti presenti a Buenos Aires con cui il Foglio è in contatto ha ipotizzato che l’appoggio di Trump sul dossier del Fmi servirebbe inoltre a Fernández a liberarsi della scomoda tutela della vicepresidente Cristina Kirchner.

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