(foto LaPresse)

Salvare la giustizia dalle ferie

Ermes Antonucci

Un blocco dopo l’altro. La ripresa dell’attività giudiziaria rischia di essere interrotta dal periodo di ferie dei magistrati. Come evitare il collasso trasformando la pandemia in un’opportunità per velocizzare la giustizia

A causa dell’emergenza coronavirus, da un mese la giustizia italiana è ferma, o quasi. Tutte le udienze dei procedimenti penali, civili, amministrativi, tributari e contabili, ad eccezione delle più urgenti (quelle che, ad esempio, nel penale coinvolgono detenuti), sono state rinviate d’ufficio dal governo fino all’11 maggio (ma questo termine potrà essere nuovamente prorogato) per evitare che l’affollamento nelle aule di giustizia possa alimentare la diffusione dell’epidemia di Covid-19.

 

La paralisi giudiziaria rischia di costare molto all’Italia. Negli ultimi mesi, la giustizia penale è stata al centro dell’attenzione pubblica, anche in virtù dell’infausta riforma pentaleghista che ha abolito la prescrizione, ma è soprattutto sul fronte della giustizia civile che, oggi più che mai, l’Italia si gioca il suo futuro, per almeno due ragioni. Primo, perché è questo genere di contenziosi a chiamare in causa in via diretta il riconoscimento di crediti (cioè di risorse) che spetterebbero alle imprese, e che risultano ancor più cruciali di fronte alla crisi di liquidità determinata dall’emergenza coronavirus. Secondo, perché è proprio questo settore ad essere caratterizzato da una lentezza inesorabile, e a costituire notoriamente, e tristemente, uno dei maggiori freni alla crescita del Paese da decenni.

 

Stavolta c’è persino il rischio di un paradosso ulteriore, e cioè che la ripresa graduale dell’attività della macchina giudiziaria, che si ipotizza possa avvenire a giugno o agli inizi di luglio, venga immediatamente e bruscamente interrotta dal periodo di ferie dei magistrati. Nel 2014 il periodo di ferie dei magistrati è stato ridotto da 45 a 30 giorni (l’intero mese di agosto). Lo scorso anno, però, il Consiglio superiore della magistratura ha stabilito con una propria delibera l’inserimento di un “periodo cuscinetto” per i dieci giorni antecedenti e i cinque giorni successivi al periodo di ferie, con lo scopo di consentire alle toghe di completare il lavoro residuo e anticipare quello necessario alla ripresa delle udienze. Il risultato è che al mese di ferie dei magistrati si sono aggiunte due settimane in più e non sono state fissate udienze ordinarie dal 15 luglio al 7 settembre (salvo gli affari urgenti). Lo stesso scenario potrebbe ripresentarsi quest’anno, con la conseguenza che il sistema giudiziario italiano, dopo una paralisi di (almeno) tre mesi, potrebbe tornare a fermarsi subito per un altro mese e mezzo, con effetti ancora più devastanti sull’economia del Paese.

 

L’ultimo Justice Scoreboard della Commissione europea ha confermato che la giustizia italiana è la più lenta d’Europa per la durata media dei contenziosi civili e commerciali: 548 giorni (un anno e mezzo) per una sentenza di primo grado, altri 893 giorni (due anni e mezzo) per una sentenza di appello, altri 1.299 giorni (tre anni e mezzo) per una sentenza definitiva. Dati impressionanti se confrontati con quelli di altre nazioni europee, come Svezia (366 giorni, cioè un anno, per arrivare a sentenza definitiva, sette volte meno dei nostri 2.740 giorni), Germania (719) o Francia (1.274). Non va meglio se si considerano i tempi della giustizia amministrativa: in Italia occorrono 887 giorni per ottenere una sentenza al Tar e 950 giorni al Consiglio di Stato (per svolgere non due, ma tre gradi di giudizio, la Svezia impiega 338 giorni, la Francia 808 e la Germania 1.049).

 

Gli effetti devastanti delle lungaggini della giustizia italiana sull’economia sono sotto gli occhi di tutti. Secondo un rapporto pubblicato lo scorso anno da Censis e Associazione Italiana Banche Estere, i tempi della giustizia civile rappresentano la seconda causa di scarsa attrattività dell’Italia per gli investitori stranieri, dopo il carico normativo e burocratico.


I tempi della giustizia civile sono la seconda causa di scarsa attrattività dell’Italia per gli investitori, dopo il carico normativo e burocratico


 

Secondo uno studio realizzato nel 2017 da Cer-Eures per Confesercenti, lentezze e inefficienze della giustizia ci costano 2,5 punti di Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Tanto recupereremmo se la nostra giustizia civile si allineasse sui tempi di quella tedesca. E gli effetti non si limiterebbero solo al Pil: una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille euro all’anno di reddito pro-capite, con effetti positivi anche sull’erogazione di credito e la sicurezza percepita di imprese e famiglie.

 

“Meno funziona la giustizia e più peggiorano le condizioni di vita delle imprese all’interno del Paese, perché manca uno degli elementi fondamentali, cioè quello della certezza del diritto e della pena”, spiega al Foglio Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti, associazione che rappresenta più di 350mila piccole e medie imprese del commercio, del turismo, dei servizi, dell’artigianato e dell’industria. “Il cattivo funzionamento della giustizia costa tantissimo alle imprese – aggiunge Bussoni – Purtroppo spesso a preoccuparsi non è il debitore, ma il creditore, che rischia di non arrivare mai ad avere ragione rispetto alle condizioni del contenzioso”.

 

“Adesso è tutto bloccato ed è anche normale – prosegue il segretario generale di Confesercenti – Il vero problema è un altro: in tutto questo tempo riusciremo a recuperare gli anni persi di mancata digitalizzazione nella giustizia civile? Presto saremo chiamati a ripartire, ma solo una giustizia efficiente e un fisco giusto, che diano garanzie alle imprese e a chi si comporta correttamente, consentirebbero di far ripartire il Paese veramente. Sarebbe fondamentale, ad esempio, avere un monitoraggio di tutte le cause pendenti. Ciò permetterebbe al cittadino di sapere a che punto è il proprio procedimento, quando si pensa di discuterlo, e quindi di regolarsi di conseguenza. Invece ora niente è definito. Si vive costantemente nell’incertezza”. Sul possibile paradosso delle ferie lunghe dei magistrati: “Penso che tutti quest’anno ci ritroveremo a lavorare un po’ di più ad agosto. Questo vale per tutte le imprese e credo dovrebbe valere anche per il funzionamento dei tribunali”, conclude Bussoni.

 

D’accordo, su questo, anche Antonio de Notaristefani, presidente dell’Unione nazionale delle camere civili (Uncc): “Se l’attuale sospensione della giustizia dovesse essere protratta, sicuramente una riflessione circa l’opportunità di mantenere la sospensione feriale andrebbe fatta e con molta serietà”. “L’Uncc – aggiunge De Notaristefani – è stata tra i primi a chiedere di sospendere la giustizia civile nel momento dell’emergenza. E’ evidente che la tutela della salute nel nostro ordinamento prevale su qualsiasi altra considerazione, quindi non posso che esprimere apprezzamento sul fatto che sia stata disposta la sospensione. Detto questo, a mio parere la sospensione dovrebbe servire per ripartire in condizioni di sicurezza. Ipotizzare che si possa ripartire soltanto quando sarà stato individuato il vaccino e una parte significativa della popolazione sarà stata vaccinata significa ipotizzare di sospendere per un anno o un anno e mezzo la giustizia civile. Questo è impensabile, perché significa la paralisi totale dell’economia. L’economia si basa sul presupposto che chi non paga i suoi debiti può essere costretto a farlo coattivamente. Se questo presupposto venisse meno, non pagherebbe più nessuno”.

 

“Una sospensione della giustizia per venti giorni non pesa molto – prosegue il presidente Uncc – Il problema è che una sospensione destinata a protrarsi crea un accumulo di arretrato, che poi impiegherà molto tempo per essere smaltito. In una situazione già di ingolfamento della giustizia civile creare un enorme sovraccarico di arretrato significa provocare la paralisi totale”. Per il presidente degli avvocati civilisti c’è un modo per far ripartire la giustizia in fretta, senza mettere in pericolo gli operatori: “Le cause vanno svolte in tribunale davanti a un giudice. Del resto, la convenzione europea dei diritti dell’uomo prevede che l’udienza debba essere pubblica. Non c’è dubbio, quindi, che nel regime normale bisognerà ritornare alle udienze in tribunale al cospetto di un giudice. Detto questo, ora non siamo in una situazione di normalità, ma di emergenza sanitaria, quindi va contemperata l’esigenza sanitaria con quella di far ripartire la giustizia e l’economia. C’è un sistema che consentirebbe di far ripartire larga parte (il 70-80 per cento) della giustizia civile: la trattazione scritta. Il processo civile, in via straordinaria ed eccezionale, può in larga misura essere trattato per iscritto. Questo consentirebbe di tutelare al massimo le esigenze sanitarie, perché né magistrati né avvocati dovrebbero andare in tribunale, e la presenza del personale di cancelleria sarebbe ridotta. Soprattutto ciò non richiederebbe i collaudi tecnologici necessari per le udienze da remoto. E’ evidente che si tratta di soluzioni emergenziali. Nessuno può ipotizzare che siano destinate a sostituire il processo civile ordinario, ma siamo in emergenza e questa va affrontata con strumenti di emergenza”.


In Italia occorrono 887 giorni per ottenere una sentenza al Tar e 950 giorni al Consiglio di Stato. La carta del processo telematico 


Un’ottima ricerca realizzata dal 2015 al 2018 da The European House - Ambrosetti sottolinea che “i ritardi della giustizia, e in particolare di quella civile, deprimono le capacità di fare impresa e generare ricchezza e sviluppo socio-economico, e generano un clima di sfiducia nei cittadini”. In particolare, le inefficienze del sistema della giustizia impattano negativamente su cinque fronti. Primo, sulla struttura dei costi delle imprese, “attraverso maggiori oneri collegati alla lentezza del sistema, oltre che attraverso maggiori esborsi di natura legale”. Secondo, sull’allocazione e sul costo del credito, “dal momento che i tribunali non riescono pienamente a rispettare le tempistiche stabilite per la durata dei processi, facendo venir meno la minaccia dell’applicazione di sanzioni tempestive e creando così le condizioni per comportamenti opportunistici da parte di cittadini e imprese”. I creditori, incerti della tutela del proprio credito, “tenderanno a chiedere tassi d’interesse maggiori e concedere meno credito”. Terzo, sulla natalità delle imprese, la loro capacità di entrare nel mercato e la competitività: “lo scarso rispetto per i meccanismi formali spinge i nuovi entranti a utilizzare canali informali. Ciò rappresenta una barriera all’ingresso dal momento che avvantaggia l’incumbent (ovvero l’operatore già insediato e attivo sul mercato) e diminuisce la probabilità di avere mercati competitivi, elastici ed efficienti”. Quarto, sulla dimensione delle imprese: “una giustizia meno efficiente disincentiva la crescita occupazionale delle imprese e rappresenta uno dei maggiori ostacoli alla crescita dimensionale”. Infine, sugli investimenti da parte delle imprese estere e italiane, perché “la mancata ‘certezza del diritto’ li rende più incerti, diminuendone il valore atteso e l’economicità”.

 

Un altro fronte caldo è rappresentato dalla giustizia tributaria, se si considera che ogni anno il contenzioso tributario vale circa 40 miliardi di euro. Per Antonio Leone, ex membro laico del Csm, oggi a capo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, una volta cessata la pandemia “sarebbe opportuno il ritorno alla normalità, senza ulteriori provvedimenti emergenziali che creano molti problemi interpretativi”. “Per normalità – aggiunge Leone – mi riferisco anche alle attuali disposizioni sul processo ‘a distanza’, soprattutto in ambito penale, che devono rimanere confinate a questo periodo di eccezionalità, dovendosi salvaguardare il principio costituzionale dell’oralità e del pieno contradditorio fra le parti”. “Per la giustizia tributaria confido in un ‘riequilibrio’: il Cura Italia da un lato ha sospeso per poco più di due mesi e mezzo le attività di controllo, riscossione e contenzioso, dall’altro ha prorogato di due anni i termini per le attività di verifica da parte dell’Agenzia delle entrate, degli enti locali e altri enti impositori. L’emergenza Covid-19 non deve essere un pretesto per comprimere i diritti del cittadino contribuente”, conclude Leone.

 

Secondo Pierantonio Zanettin, ex membro laico del Csm, oggi deputato di Forza Italia e avvocato, dopo l’emergenza “non torneremo a essere come prima”. “Questa esperienza ci cambierà, perché abbiamo imparato tutti in queste settimane a lavorare in smart working. Nella giustizia dovremo implementare sempre di più il processo telematico. La strada per il processo civile è più facile rispetto al penale, perché il processo civile è prevalentemente documentale. Il ministro Bonafede non mi è sembrato così sensibile al tema, ma sono convinto che al ministero, di fronte a questa crisi epocale, inevitabilmente inizieranno a lavorare in questa direzione”. Zanettin è originario di Vicenza, ed è proprio qui che Bonafede potrebbe dare uno sguardo: “Siamo tra gli sperimentatori più efficaci del processo telematico e delle videoconferenze – spiega il deputato – Tutta la volontaria giurisdizione, ad esempio l’amministrazione di sostegno, viene fatta a distanza, con sistemi di videochiamata attraverso cui l’assistente sociale mette in comunicazione la persona fragile con il magistrato”. Il rilancio della giustizia civile, insomma, passa attraverso la digitalizzazione. In caso contrario, a pagare sarebbe l’intera economia: “Vicenza è una delle province più industrializzate d’Italia. Per noi da sempre avere una giustizia celere ed efficiente è un fattore di competitività economica. La paralisi, quindi, crea problemi pazzeschi. Il Veneto è però tra le regioni in cui il problema del coronavirus si è manifestato in modo maggiore, quindi in questo momento il problema della tutela sanitaria è altrettanto cruciale. Bisogna bilanciare queste due esigenze. Un settore che, però, potrebbe essere sbloccato subito è quello dei decreti ingiuntivi, che oggi vengono tutti redatti, depositati e firmati attraverso il processo telematico e quindi non comportano rapporti diretti tra le persone. Un altro settore che potrebbe essere sbloccato è quello delle separazioni giudiziali, in cui si costringono alla convivenza forzata coniugi spesso in condizione di grave conflittualità (con rischi per la loro incolumità personale)”.