Foto tratta dal profilo Instagram della Paris-Roubaix

Maschere dall'Inferno. Tutto il fango della Parigi-Roubaix

Giovanni Battistuzzi

Le foto e i video che sono stati pubblicati ritraggono percorsi che uniscono le biciclette alla follia, il ciclismo all'equilibrismo, la Roubaix di domenica a momenti di storia indelebile di questo sport: da De Vlaeminck a Museeuw, da Madiot a Tchmil

La Parigi-Roubaix è un ballo in maschera che fa scomparire i volti, li trasforma, uniforma i tratti. Lassù, in quel pezzo di Francia che punta verso le Fiandre, uomini a pedali entrano in un altro mondo, chilometro dopo chilometro subiscono una metamorfosi, diventano statue, come fossero omaggi viventi a un ciclismo antico. E' un'idea ottocentesca che sembrava assurda già nell'Ottocento. Per il giornalista del Velo Victor Breyer, mandato nel febbraio del 1896 in avanscoperta a sondare la possibilità di creare una nuova corsa che doveva portare da Parigi al nuovo velodromo del parco Barbieux, quello era un "projet diabolique". Partì che era mattino con una Panhard 6CV fino ad Amiens, poi salì in bicicletta. Iniziò a piovere, a tirare vento. Le pietre sotto le ruote erano viscide e fetide, sballottavano, scalciavano, picchiavano. Arrivò che era sera, arrivò che era coperto di fango, che lo dovettero far scendere di bicicletta, che lo dovettero buttare di peso in una vasca d'acqua calda, che disse "mandate un telegramma che è un'assurdità, che non si può fare". Il telegramma non partì, la corsa si fece.

 

La Parigi-Roubaix è un ballo con maschere che mutano, dipende dall'anno, dalla clemenza del clima: possono essere di polvere o di fango. L'anno scorso Greg Van Avermaet vagò nel mare di polvere della campagna francese, sprintò impolverato nel velodromo di Roubaix. Vinse e quando scese di bici aveva una faccia coperta da millimetri di terra che "c'è voluto un bel po' d'acqua per tirarla via tutta". Andò peggio a Taylor Phinney un anno prima: "Avevo così tanta polvere addosso che per tre giorni i miei baffi erano pieni di schifo".

 

 

Domenica ben altre potrebbero essere le maschere che usciranno da Troisvilles, il primo settore in pavé, chilometro 93,5 di gara.

 

 

Le foto e i video che sono stati pubblicati sugli account della corsa e de Les Amis de Paris-Roubaix, l'organizzazione di volontariato che si assume la responsabilità di curare e preservare i settori in pavé, ritraggono percorsi che uniscono le biciclette alla follia, il ciclismo all'equilibrismo, la Roubaix che andrà in scena domenica (se dovesse tornare a piovere) a momenti di storia indelebile di questo sport.

 

 

 

E' un ritorno al settore di Merignies, al 2002, all'indomabile potenza di Johan Museeuw che in un mare di fango, mentre tutti annaspavano cercando scialuppe di salvataggio, aprì lo spinnaker e si involò verso il paradiso del suo terzo Inferno del Nord. Oltre cinquanta chilometri in solitaria buoni a dimostrare, se ancora ce ne fosse stato bisogno chi era il più forte corridore di allora sulle pietre, un bulldozer che le asfaltava, le rendeva lisce al suo passaggio.

 

E' un ritorno a Servais Knaven, che nel 2001 affrontò in testa chilometri e chilometri di melma, facendosi il mazzo faccia al vento proprio per Museeuw, capitano della Domo, e che a dieci chilometri dall'arrivo, lontano dal pavé gli venne chiesto un ulteriore sforzo dall'ammiraglia: scattare per favorire gli scatti dei suoi compagni di squadra. Lui ubbidì, nessuno lo seguì e lui, per non sbagliare, si mise a menare sui pedali così bene che non lo raggiunse più nessuno.

 

 

E' un ritorno al Carrefour de l’Arbre del 1994, alle pozzanghere dalle quali emerse Andrei Tchmil, alla sua prepotenza ciclistica, a quel suo modo di fregarsene di tutto, anche di strade viscide a tal punto "che stare in piedi era qualcosa di improponibile", raccontò a fine Frankie Andreu, americano della Motorola con la fissa del pavé.

 

 

E' un ritorno a quel gioco di pattinamento perfetto di Marc Madiot che il 14 aprile del 1985 diede una lezione a tutti,. Sempre sul Carrefour de l’Arbre accelerò a tal punto che la bici s'imbizzarrì, rimase in piedi per miracolo. Non si spaventò però il francese, anzi, continuò a mulinare sui pedali: guadagnò oltre mezzo minuto in mille metri e quasi due in quindici chilometri.

 

E' un ritorno al 1972, a quando Roger de Vlaeminck a ventitré chilometri dal traguardo decise di salutare il gruppetto che stava inseguendo Willy van Malderghem, lo raggiunse planando sulle pozze di fango che riempivano le buche tra i blocchi di pietra, dimostrando che il pavé è uno spettacolo per tutti, ma saperlo domare è una prerogativa per pochi e saper essere eleganti su strade del genere è qualcosa per ancor meno.

 

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