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Altro che sicurezza. L'Uci si è autoassolta squalificando Groenewegen per nove mesi

Giovanni Battistuzzi

Il velocista della Jumbo-Visma è stato giudicato colpevole per la caduta allo sprint nella prima tappa del Giro di Polonia. Attorno al tema della sicurezza dei ciclisti, al solito, ci sono tante belle parole e pochissimi fatti

Era il 5 agosto quando a poche decine di metri dall’arrivo della prima tappa del Giro di Polonia la volata finì in un patatrac. Davanti c’erano Dylan Groenewegen e Fabio Jakobsen. Il primo più avanti del secondo, il primo che dal centro della strada si muove verso destra a chiudere la via per il sorpasso. Il secondo che non molla, non frena, non si arrende, vuole passare. I due si toccano, le barriere si aprono inghiottendo il secondo e mandando a terra il primo. Jakobsen ne esce in barella, lo inducono al coma, passa sotto i ferri più volte. Dal coma esce, dall’ospedale pure e piano piano sta cercando di rimettersi in bici, ritornare a essere un corridore.

  

L’Union cycliste internationale oggi è arrivata alla conclusione che Dylan Groenewegen è colpevole di quanto successo a Katowice e per questo è stato squalificato per nove mesi. Mai nessun corridore ha subito una sanzione così pesante. A eccezione del doping. Potrà ritornare a mettersi il numero di gara dal prossimo 7 maggio.

  

Groenewegen non ha fatto polemica, ha accettato la sentenza. “L'incidente nella prima tappa del Giro di Polonia sarà per sempre una pagina nera della mia carriera. Durante lo sprint ho deviato dalla mia traiettoria, le conseguenze del mio gesto sono state furono molto sfortunate e gravi. Ne sono consapevole e spero che questa sia stata una lezione importante per me e per tutti i velocisti”, ha detto.

 

Sarebbe da dire: giustizia è stata fatta, possiamo andare avanti. Eppure non è così. 

 

E non è così perché l’Uci ha semplicemente incolpato il velocista olandese per un incidente di cui ha solo una parte di responsabilità. Perché è vero che Groenewegen ha cambiato traiettoria. È vero che ha chiuso Jakobsen alle transenne, sicuramente con dolo. Eppure di mosse del genere in volata se ne sono già viste, di traiettorie sghembe di chi è davanti allo sprint il ciclismo ne ha un campionario pieno, così come di contatti tra ciclisti in volata. 

 

Cos’è successo allora a Katowice di diverso? È successo che quello che le barriere dovrebbero fare le barriere non lo hanno fatto. Non hanno retto l’urto, si sono aperte, hanno inondato la carreggiata causando la caduta di altri corridori. E non lo hanno fatto perché non rispettavano lo standard di sicurezza che dovrebbero essere previsti nelle grandi corse. Forse il Giro di Polonia non è la corsa più importante del panorama ciclistico. Forse nessuno ha come massima ispirazione di vincerlo però è stata inserita dall’Uci all’interno del calendario delle corse più importanti, quello del World Tour. La sua classificazione è 2.UWT, la stessa dei tre grandi giri di tre settimane (Giro, Tour, Vuelta) e delle principali corse a tappe di una settimana (Delfinato, Tirreno-Adriatico, Giro della Svizzera, Giro dei Paesi Baschi ecc.).

 

  

C’è stato dolo nella volata dl velocista olandese, ma con questa sentenza l’Uci ha riversato su Groenewegen anche le colpe altrui. Quelle di uno striscione d’arrivo posto in un falsopiano a scendere dopo una discesa dove le bici dei velocisti hanno superato gli ottanta chilometri all’ora. Quelle di transenne incapaci di reggere l’urto perché fissate malamente e in modo maldestro al suolo. Quelle del mancato controllo di chi invece doveva controllare che tutto fosse a posto e che la sicurezza dei corridori fosse garantita.

   

L’Uci si è assolta incolpando di tutto Groenewegen, lasciando al solito il tema sicurezza un accumulo di belle parole e pochissimi fatti