Fabio Jakobsen alla Vuelta di Spagna 2019 (foto Ansa)

Ritornare a essere Fabio Jakobsen

Giovanni Battistuzzi

La scorza dura dei velocisti. Il ciclista olandese caduto rovinosamente mercoledì al Giro di Polonia "tornerà a essere un corridore", ha detto oggi il medico della Deceuninck-QuickStep

I velocisti sono una particolare specie di fedeli della bicicletta. Per loro esiste un solo comandamento: se passano le spalle, passa tutto il resto. Si differenziano dagli altri per fisico e voluminosità, soprattutto per caratteristiche sensoriali. Sono una particolare specie di ciclisti. Hanno vista e udito più sensibili rispetto agli altri: vedono spiragli che nessun altro corridore vedrebbe e dove non riescono a vedere utilizzano l'orecchio per orientarsi nello spazio. Tutto ciò ha reso la loro pelle dura, la loro capacità di rialzarsi eccezionale.

 

Fabio Jakobsen è un velocista e dei velocisti ha tutte le caratteristiche. Mercoledì, al Giro di Polonia, è caduto a oltre ottanta all'ora. Il suo corpo ha divelto le transenne, si è scontrato contro un fotografo e contro una struttura in metallo. È stato trasportato in ospedale, operato più volte, salvato dai medici, indotto in coma e dal coma risvegliato. Poteva morire, è stato il primo commento filtrato dalla clinica di Katowice, "è probabile che tornerà a correre", ha detto oggi a Sporza il medico della Deceuninck-QuickStep, Yvan Vanmol. "Non oso fare ipotesi, non posso dare una scadenza, ma Fabio tornerà a essere un corridore". 

 

Vanmol ha detto che Jakobsen potrebbe essere trasferito in Olanda alla fine di questa settimana. "Le sue condizioni sono molto buone, almeno considerando la gravità dell'incidente che ha avuto". Le maggiori preoccupazioni al momento riguardano i danni estetici e muscolari al viso, dato che ancora "fa fatica a controllare i muscoli della bocca", ma i progressi fatti fino a qui sono "più che incoraggianti".

 

Fabio Jakobsen ha iniziato a rivedere una strada davanti, una striscia d'asfalto da aggredire ancora, da affrontare e spianare. La speranza è che sia una strada più sicura, che l'Uci rifletta bene su ciò che non ha fatto in questi anni e che la colpa di tutto quello che è successo non sia data unicamente a Dylan Groenewegen. Non lo merita il ragazzo e non sarebbe giusto. Non lo merita il ciclismo.

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