Dylan Groenewegen all'arrivo della quarta tappa del UAE Tour 2020 (foto LaPresse)

Non sputate su Groenewegen

Giovanni Battistuzzi

La caduta di ieri al Giro di Polonia che ha mandato Jakobsen all'ospedale, l'errore del velocista olandese, le colpe di una federazione internazionale che invece di proteggere i ciclisti, punta il dito su Groene per mascherare i propri errori

Katowice, sul rettilineo che conduceva allo striscione d'arrivo della prima tappa del Giro di Polonia, la bicicletta di Ryan Gibbons, quinto classificato nell'ordine d'arrivo ufficiale diramato dagli organizzatori, viaggiava a 82,1 chilometri orari. Quella di Szymon Sajnok, sesto, a 80,3. Fortuna ha voluto, perché di altro non si può parlare, che né il sudafricano della Ntt Pro Cycling che il polacco della CCC Team, siano rimasti in piedi nel marasma di biciclette, corpi, transenne, tabelloni pubblicitari che si è creato. In molti sono andati a terra. La peggio l'ha avuta Fabio Jakobsen che si trova in ospedale in coma indotto con la faccia spaccata e il cranio fratturato. Le sue condizioni, secondo l'ultimo bollettino, sono gravi ma stabili. Fortunatamente sembrano essere escluse lesioni cerebrali e spinali.

 

 

La caduta è avvenuta a una velocità stimata vicina, se non superiore, agli ottanta all'ora. Una stima plausibile contando che la linea d'arrivo si trovava al termine di 400 metri di una discesa al 3,3 per cento medio di pendenza. Dylan Groenewegen era appena saltato fuori dalla scia di Pascal Ackerman e aveva preso la testa dello sprint. Le ruote della bicicletta giravano vorticosamente, le sue gambe mulinavano fluide. Quelle di Fabio Jakobsen ancora di più. Il velocista della Deceuninck - Quick Step aveva preso la ruota al suo connazionale e ne avrebbe avuto per superarlo. Groene si era accorto di questo e ha iniziato a fare quello che molte volte si fa in volata, ci si sposta leggermente verso le transenne per disincentivare il tentativo di sorpasso, far perdere una pedalata all'avversario e garantirsi il successo. La mossa non è lecita, si dovrebbe mantenere una linea retta secondo il regolamento, spesso viene sanzionata, almeno quando si creano situazioni di pericolo. A volte si chiude un occhio.

 

Dylan Groenewegen in questo è un esperto e un maestro. Le sue volate sono sempre sghembe, tendono leggermente verso destra. Non è il primo che lo fa, non sarà l'ultimo. Spesso il suo movimento è impercettibile ma continuo. Sa cosa fa e nel farlo è bravo. 

 

Anche Fabio Jakobsen è uno che sa fare il suo lavoro, che è capace di valutare distanza e pericolo, che ha lima e gamba. Un signor velocista.

 

Ieri però Dylan Groenewegen ha chiuso di più del solito e Fabio Jakobsen è stato capace meno del solito a valutare distanza e pericolo. Groene ha sbagliato, ha modificato la traiettoria in una maniera per lui inconsueta: prima ha avuto un sbalzo a sinistra di tre pedalate, poi ha ripreso l'andamento verso destra. Non fosse successo niente avrebbe rischiato in ogni caso la squalifica.

 

Ma qualcosa è successo. Perché Jakobsen dopo quelle tre pedalate verso sinistra aveva preso la via lungo le transenne. Il suo connazionale non gli ha dato spazio, i due si sono toccati e quando ci si tocca ad alta velocità ha sempre la peggio chi sopraggiunge da dietro. Il motivo lo spiegò Eric Zabel alla tv tedesca qualche anno fa: chi sopraggiunge alle spalle di solito tocca sul fianco il velocista davanti e questo crea un riflesso involontario, quello di muovere il corpo in modo innaturale che provoca un necessario allargamento del gomito. Diceva questo per spiegare cos'era successo tra Sagan e Cavendish nella volata di Vittel al Tour de France 2017.

 

C'è qualcosa di comune tra lo sprint del Tour e quello di ieri. Eppure c'è molto di diverso. Perché lì lo spazio per il sorpasso era risicato fin dall'inizio, mentre in Polonia inizialmente c'era. Perché la velocità era certamente sostenuta, ma non folle come accaduto ieri. Soprattutto perché lì le transenne hanno retto l'urto.

 

Fossimo stati al Tour probabilmente Jakobsen se ne sarebbe tornato a casa con tante escoriazioni, tantissime botte e forse una clavicola rotta. Sarebbe scivolato sui tabelloni pubblicitari, avrebbe fatto cadere qualcuno. E Groenewegen sarebbe stato criticato e retrocesso, forse addirittura cacciato dalla corsa, ma non sarebbe stato considerato un delinquente, un criminale delle volate. Il processo sommario contro di lui è degno dei migliori tribunali d'inquisizione. Le attenuanti non sono state minimamente prese in considerazione. E sono attenuanti importanti.

 

La prima riguarda la velocità. A ottanta all'ora il rapporto tra percezione e azione diminuisce e lo fa in maniera esponenziale rispetto alla velocità. La seconda è legata alla prima, ma riguarda la scelta degli organizzatori di far terminare una tappa su di un rettilineo in discesa.

 

Tutto ciò non elimina le colpe di Groenewegen. Il velocista olandese ha sicuramente sbagliato, ma se Jakobsen è all'ospedale ridotto non bene, la colpa non è solo sua. Eppure l'Uci, nel suo comunicato ufficiale "condanna fermamente il comportamento pericoloso di Dylan Groenewegen che ha spinto Fabio Jakobsen oltre le transenne a qualche metro dall'arrivo, provocando una caduta collettiva a pochi metri dal traguardo della prima tappa del Tour de Pologne. Groenewegen è stato squalificato dal collegio dei commissari". E poi "giudica inaccettabile quanto accaduto, ha subito chiamato in causa la Commissione Disciplinare per chiedere l'adozione di sanzioni all'altezza della gravità dei fatti. La nostra federazione è vicina a tutti coloro che sono stati coinvolti nella caduta".

 

Tutto chiaro. La colpa è di Groenewegen.

 

E la colpa è di Groenewegen perché è molto più semplice scaricare su chi ha commesso un errore tutte le colpe che assumersi le proprie, ossia quello di non aver seguito ancora una volta le indicazioni dei corridori, di non aver preso per vero l'allarme che i ciclisti avevano più volte lanciato sulla pericolosità di certi arrivi e di certi percorsi. L'Uci a questo appello aveva "ribadito l'importanza della sicurezza dei ciclisti, che è un aspetto fondamentale della sua strategia di sviluppo ciclistico e uno dei suoi obiettivi chiave come organo di governo globale dello sport, sebbene sia un'area che rientra nella responsabilità esclusiva degli organizzatori". Era l'ottobre del 2019, nemmeno un anno fa.

 

La richiesta di sicurezza è finita nel dimenticatoio. Al Grand Prix Kranj, corsa inserita nel calendario UCI Europe Tour, nessuno ha avuto da dire su di un palo in mezzo a una curva.

 

 

Ieri al Giro di Polonia a nessuno è venuto in mente di controllare le transenne, la loro regolarità. E che non fossero regolari è apparso evidente quando sotto il peso di Jakobsen si sono sfaldate, hanno inghiottito il velocista e sono finite in mezzo alla strada. Eppure nelle corse World Tour dovrebbe essere garantito il livello massimo di salvaguardia dei corridori. L'Uci un paio di anni fa aveva evidenziato la necessità di utilizzare le cosiddette "transenne di continuità", ossia quelle unibili una con l'altra con un sistema di doppio incastro di sicurezza. Evidentemente le transenne che da anni si usano al Tour non sono le stesse di quelle che si usano al Giro di Polonia.

   

 

O forse sono le stesse, ma non sono state fissate sufficientemente bene.

  

   

Groenewegen ha sbagliato, ma crocifiggerlo per un errore, trasformarlo in un criminale per non vedere le colpe peggiori, quelle che mettono in pericolo tutto il gruppo.

 


 

Il commento di Silvio Martinello