Tom Boonen al Giro delle Fiandre del 2010 (foto LaPresse)

Il pavé e la nostalgia. L'Omloop inaugura l'assenza di Tom Boonen

Giovanni Battistuzzi

Inizia il mese sacro delle Fiandre, quello delle classiche delle pietre. Il primo senza Tommeke in gruppo

Quelle pietre sono là da tempo immemore, alcune almeno dal Settecento, piantate più o meno bene nel terreno, distanziate da più o meno fango o polvere. Sono desuete e rognose, un retrò mai stato vintage, perché non pratico, non facile, non replicabile: il pavé è lassù e non può essere esportato altrove, Fiandre, Belgio che espatria in Francia, oltre Roubaix verso Parigi. Il pavé è una donna che va saputa trattare, che va accarezzata, assecondata. Ci vuole fascino e buone maniere, comprensione e coraggio. E' una seduzione che si ripete ogni anno, seguendo la solita strada che diventa filastrocca: Omloop – Kuurne-Bruxelles-Kuurne – Dwars door West-Vlaanderen – E3 Harelbeke – Gent-Wevelgem – La Panne – Ronde van Vlaanderen – Paris-Roubaix. E' il mese magico del ciclismo del Nord, il mese sacro per i fiamminghi.

 

Quelle pietre sono là da tempo immemore, ma ogni anno trovano nuove storie da raccontare e nuovi amori che sbocciano. E mai come quest'anno una nuova passione è necessaria. Perché quello più grande, quello più fulgido, almeno degli ultimi quindici anni, è tramontato il 9 aprile del 2017 nel cemento del velodromo di Roubaix. In quel giorno, poco meno di un anno fa, il grande seduttore ha detto addio al grande amore, le pietre, e al ciclismo. Ed è iniziata una nuova epoca, quella nella quale Tom Boonen ha smesso di essere presente per diventare un immenso passato.

 

 

Cosa è stato il corridore belga per le pietre lo ha detto alla Capitale Johan Museeuw, uno tra i migliori interpreti del pavé della storia: "Se io sono un Leone delle Fiandre, lui (Boonen) è il Re", non un ciclista vincente, "un manuale di come si deve correre sul pavé".

 

La Omloop Het Nieuwsblad sarà la prima corsa che porterà con sé la nostalgia di questo addio, il primo atto di un "chissà con Tommeke come sarebbe andata", declinato in ogni lingua e a ogni latitudine. Sono nostalgie e domande che ciclicamente si ripetono a ogni grande bici appesa a un chiodo. Accadde per Achiel Buysse, per Rik Van Steenbergen, per Rik Van Looy, per Eddy Merckx, per Roger De Vlaeminck, per Johan Museeuw, fiamminghi da pietre, eroi popolari. E anche per chi fimminghi non erano, ma era come se lo fossero per peculiarità e sentimento, per pietre e fatica, da Fiorenzo Magni a Jan Raas (o Francesco Moser e Franco Ballerini, amati in Belgio, ma vincitori in Francia).

 

La Omloop Het Nieuwsblad inaugurerà, come sempre accade, il pavé e l'assenza di Tom Boonen si paleserà proprio in quella corsa, l'unica a queste latitudini, che non è mai riuscito a fare sua, nonostante in quei luoghi, sul muro di Grammont, molto più semplicemente il Muur, antonomasia di strappo lastricato di pietre, abbia scritto una parte della storia della Ronde.

 

Nel 2005 fu secondo frenato e fregato dal gioco di squadra che liberò Nick Nuyens, nel 2007 concluse terzo, stupito dall'affondo di Pippo Pozzato e da un eccesso di sicurezza. Disse: "Il risultato non pesa, ero tra i migliori e questo basta. L'importante è fare bene al Fiandre e alla Roubaix".

 

 

Forse queste dichiarazioni non piacquero al pavé dell'Omloop, forse se la presa a tal punto da trasformare ogni suo tentativo di colmare questo buco nel palmares in un insuccesso.

 

Nel 2015, quando ormai sentiva il fine della carriera avvicinarsi ed era venuto il momento giusto per chiudere i conti con il passato e conquistare quel poco che gli mancava, Boonen mise la Omloop in cima ai suoi desideri: "Sono qui per vincere, è una corsa eccezionale che in modo o nell'altro mi è sempre sfuggita". Si ritrovò avanti a tutti con tre compagni di squadra e un solo infiltrato, l'inglese della Sky Ian Stannard. Ci provò e riprovò, uno scatto dietro l'altro, ma quel britannico sempre dietro a chiudere. Lo stesso britannico che a nemmeno tre chilometri dall'arrivo, in un tratto in leggerissima salita che nemmeno un cavalcavia, abbandona la compagnia e si invola braccato dal solo Niki Terpstra. Boonen prova, si arrabbia, insegue, recupera, non si arrende, si fa a un passo, sbuffa, lascia, si arrende. Sulla striscia d'arrivo scuote la testa. Si infuria, ma è solo un passaggio, un piccolo rimpianto in una storia di bici e pavé.

 

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