La questione svedese

Perché l'ingresso di Stoccolma è decisivo per la Nato. Il bazaar di Erdogan

Paola Peduzzi

Il corteggiamento dell'Alleanza atlantic alla Turchia, che alza il prezzo e ospita navi russe cariche di armi

Milano. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha riunito ieri a Bruxelles i funzionari della Turchia, della Svezia e della Finlandia per discutere del futuro assetto dell’Alleanza. L’obiettivo del segretario, in linea con tutti gli alleati, è sancire l’allargamento della Nato al vertice della settimana prossima in Lituania, ma per farlo ha bisogno di convincere Ankara a far cadere il suo veto sull’ingresso della Svezia, cioè deve dotarsi di pazienza e tattica negoziale perché con la Turchia ogni scambio è possibile, dipende sempre dal prezzo. 

 

Le aspettative sul vertice di Vilnius sono state in realtà tutte ridimensionate: era il vertice per annunciare il nuovo segretario della Nato, ma non s’è trovato consenso su un nome unico e quindi Stoltenberg ha acconsentito a prolungare il suo mandato di un altro anno (fanno dieci anni in tutto); era il vertice della formalizzazione del percorso di ingresso dell’Ucraina, ma ora si parla di garanzie di sicurezza e anche Kyiv dice: facciamo alla fine della guerra; era il vertice della Nato a 32, il frutto di un lavoro di unità e di interdipendenza notevole, ma anche la celebrazione dell’ingresso della Svezia sembra un po’ pericolante. Ma almeno su questo terzo punto non s’è persa la speranza: Joe Biden ha accolto a Washington il premier svedese, Ulf Kristersson, e ha detto che “aspetta con ansia” l’ingresso della Svezia nella Nato: “L’obiettivo è semplice: la Svezia renderà la nostra alleanza più forte”. L’obiettivo è semplice ma il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, non lo condivide, o meglio: è disposto a condividerlo in cambio di qualcosa.

 

Ha già chiesto alla Svezia di farsi consegnare persone (curdi in particolare) che considera affiliate al terrorismo e che vivono sul territorio svedese: alcune sono state consegnate, ma per Erdogan l’Alleanza non prende abbastanza sul serio il terrorismo contro la Turchia, così come non fa nulla contro l’islamofobia (la settimana scorsa le autorità svedesi hanno dato il permesso a un cittadino iracheno che vive in Svezia di organizzare una protesta in cui ha dato fuoco a una copia del Corano). In sottofondo resta il boccone grande che è una commessa da 20 miliardi di dollari di F-16 che la Turchia vuole dall’America: Biden sembra disposto a fare un compromesso, ma il Congresso americano, che deve dare il via libera, dice che prima la Turchia deve levare il veto all’ingresso della Nato, poi si può discutere della commessa (non è detto quindi che il presidente americano riesca a convincere il Congresso a invertire la tempistica del negoziato). 

 

La resistenza della Turchia non è affatto neutrale. L’intralcio all’allargamento della Nato è un gran favore a Vladimir Putin sia in termini simbolici – l’occidente appare disunito – sia in termini pratici – la flotta di sottomarini della Svezia è la più potente e sofisticata della Nato. La Turchia è l’unico paese dell’Alleanza a non aver applicato sanzioni alla Russia (mantiene questo suo status di mediatore grazie all’accordo sul grano che Mosca minaccia di far saltare a ogni rinnovo: il prossimo è il 17 luglio) e la settimana scorsa il Wall Street Journal ha pubblicato un’esclusiva in cui raccontava che una nave cargo russa carica di armi e di equipaggiamento militare e sotto sanzioni si è fermata almeno cento volte in porti turchi dal maggio dell’anno scorso fino alle ultime settimane. Per la Turchia è rischioso far attraccare questo cargo perché ora esistono anche misure sanzionatorie a chi non rispetta le sanzioni vigenti, ma sa che l’America e la Nato sono in questo momento più tolleranti, così di fatto fa un po’ quel che vuole, mettendo a rischio i suoi alleati e naturalmente l’Ucraina.

 

C’è un altro paese che ha posto il veto sulla Svezia: l’Ungheria. Ma in questi giorni Budapest, dando l’ennesima prova della sua leadership, della sua autonomia e del suo atlantismo, ha fatto sapere che farà quel che decide la Turchia.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi