Foto di Necati Savas, via Ansa  

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Finlandia sì, Svezia forse. Le ragioni della trattativa Nato-Erdogan

Luciano Bozzo

Dietro al veto turco ci sono le elezioni presidenziali del 14 maggio. Ma la procedura d'ingresso nell'Alleanza si dovrà concludere entro luglio. Per il presidente il "no" in questo momento rappresenta una moneta di scambio

Quasi un anno è trascorso dal 18 maggio 2022, quando Finlandia e Svezia presentarono simultaneamente al segretario generale Jens Stoltenberg le lettere di richiesta d’ingresso nella Nato. Dal successivo invito all’adesione, formulato dai capi di stato e di governo al summit di Madrid del 29 giugno, 28 paesi hanno ratificato il protocollo d’accesso. Molti di essi, nel frattempo, hanno anche fornito garanzie di sicurezza a Stoccolma e Helsinki. Per ogni nuova adesione è però necessaria l’unanimità dei 30 membri dell’Alleanza. Mancavano, come noto, Turchia e Ungheria. Lo scorso 17 marzo, in occasione della visita del presidente finlandese Sauli Niinistö ad Ankara, il presidente turco Erdogan ha tuttavia reso noto di aver dato il via libera alla procedura parlamentare per la ratifica dell’adesione, ma della sola Finlandia. Con la Svezia continueranno i colloqui. Lo stesso giorno il leader del gruppo parlamentare del partito di governo ungherese Fidesz ha anticipato la ratifica del Parlamento ungherese, che è arrivata il 27 marzo.

La decisione turca rappresenta un punto di svolta importante sotto diversi aspetti. Niinistö ha replicato a Erdogan che senza l’adesione della Svezia quella della Finlandia resterebbe “incompleta”. Ma già lo scorso febbraio, durante l’incontro a Stoccolma tra una delegazione di parlamentari finlandesi e i colleghi svedesi, era emerso che non appena ottenute tutte le ratifiche Helsinki avrebbe provveduto anche da sola agli ultimi adempimenti necessari per l’adesione. È un’evoluzione significativa, considerato lo stretto coordinamento che ha sempre caratterizzato l’azione di politica estera dei due paesi, che conferma la percezione d’insicurezza e urgenza avvertite dalla Finlandia. Ne è ulteriore prova l’inizio della costruzione della barriera al confine russo che, completata, raggiungerà 200 km di lunghezza. 

A parte l’oggettiva impopolarità internazionale dell’opposizione all’ingresso nella Nato di un piccolo paese confinante per oltre 1.300 km con la Federazione Russa, quattro sono le ragioni della diversa posizione turca rispetto alle richieste di Finlandia e Svezia. Dalla scorsa primavera Erdogan ha più volte ripetuto che la prima e soprattutto la seconda offrono asilo a terroristi del Partito kurdo dei lavoratori (Pkk), considerato terrorista anche da Stati Uniti e Ue, nonché a gruppi che solo la Turchia ritiene tali. Tra di essi quello dei seguaci del predicatore Fetullah Gülen.

Una lista di 120 presunti terroristi inviata a Stoccolma non ha tuttavia portato alle richieste estradizioni. La legislazione svedese, particolarmente tollerante in particolare in tema di libertà di espressione, consente a questi gruppi di manifestare apertamente contro Ankara, di fare proselitismo e raccogliere fondi, in misura assai maggiore di quanto sia mai accaduto in Finlandia. Questo nonostante modifiche alla costituzione, una legislazione antiterrorismo che entrerà in vigore all’inizio di giugno e la nuova attenzione della polizia svedese per il Pkk.

Il gesto del leader di estrema destra Rasmus Paludan, cittadino danese e svedese che il 21 gennaio ha bruciato una copia del Corano davanti all’ambasciata turca a Stoccolma, ha radicalizzato la crisi. Alcuni, incluso l’ex primo ministro finlandese Alexander Stubb, l’hanno definita non a caso una tipica azione di “guerra ibrida” ispirata da Mosca. Nel caso della Finlandia Erdogan ha dichiarato invece che il paese ha compiuto “passi reali e concreti” nella lotta al terrorismo.

Il prossimo 14 maggio in Turchia si terranno le elezioni parlamentari e presidenziali. Erdogan ha perciò tutto l’interesse a cavalcare l’agenda nazionalista e islamista, di cui la lotta all’indipendentismo kurdo e all’islamofobia sono componenti essenziali. Obiettivo della Nato è che la procedura d’ingresso dei nuovi membri si concluda prima del summit che avrà luogo a Vilnius il prossimo luglio. Se la scadenza non fosse rispettata ne seguirebbe un indubbio danno per l’immagine e la coesione dell’Alleanza, con la guerra in corso in Ucraina.

Non è tuttavia realistico credere che prima delle elezioni Ankara tolga il veto all’adesione svedese. Alle ragioni di politica interna si sommano quelle della politica di sicurezza. Da mesi la Turchia chiede agli Stati Uniti nuovi F-16 e kit di aggiornamento tecnologico, dopo essere stata esclusa dal consorzio F-35 a causa dell’acquisizione del sistema missilistico antiaereo russo S-400. Il veto diviene così un possibile oggetto di scambio nella trattativa con Washington, e forse anche rispetto alla politica americana a favore delle milizie kurde (Ypg) in Siria. L’industria della difesa turca è inoltre molto interessata alla cooperazione con quella svedese, in particolare per ottenere licenze di esportazione. Non è infine da escludere che il veto turco sia stato e sia ancora diretto a giocare un ruolo nella relazione ambigua e nondimeno cruciale tra Ankara e Mosca. 

È impossibile a oggi prevedere i tempi d’ingresso anche della Svezia nella Nato. L’esito positivo appare comunque ragionevolmente scontato. Anche a prescindere da ciò resta un fatto: il Baltico è già un lago dell’Alleanza su cui si affaccia la Federazione Russa, con tutto quanto ne consegue in termini di modifica della postura strategica ed equilibri interni.    

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