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Più larga e più reattiva. Ecco la nuova Nato

Paola Peduzzi e Micol Flammini

A Vilnius si ridisegna la futura Alleanza che ha bisogno di investimenti sostanziosi, di compattezza, di membri forti e di una  segretaria decisa

Con l’esercitazione Air Defence 2023 “vogliamo mostrare la nostra capacità di difendere la nostra Alleanza”, ha detto il comandante dell’Aeronautica tedesca, Ingo Gerhartz: “La potenza aerea gioca un ruolo fondamentale perché può reagire molto velocemente, noi siamo i primi in grado di rispondere” a un eventuale attacco esterno a un paese della Nato. La Germania organizza in queste due settimane la più grande esercitazione di questo tipo dell’Alleanza atlantica dalla fine della Guerra fredda – 25 paesi e 250 jet coinvolti – ma preveniamo subito la retorica, cara a Vladimir Putin, delle provocazioni della Nato alla Russia: questa esercitazione era in programma dal 2018, non è un atto dimostrativo pensato per la guerra in corso in Ucraina. Certo, simulando un eventuale attacco a un paese della Nato, il pensiero già nel 2018 – non a torto – era rivolto alla Russia, che aveva invaso l’Ucraina e aveva annesso la Crimea, violando la sovranità territoriale di un paese straniero. Il generale Gerhartz dice dell’esercitazione di cui è il supervisore e che toccherà anche la Lituania e la Polonia: è un modo per svegliarci e per recuperare i ritardi accumulati negli anni sulla potenza aerea della Nato. L’Alleanza sta cambiando eccome, e questo è uno dei calcoli sbagliati fatti da Putin quando ha deciso di invadere l’Ucraina nel febbraio dello scorso anno: con l’ingresso della Finlandia nella Nato, la Russia ha raddoppiato la lunghezza dei confini che condivide con i paesi dell’Alleanza, la quale è passata da quella che i militari chiamano “deterrenza per rappresaglia”, che è la promessa di andare in difesa di un paese attaccato, alla “deterrenza per negazione”, che come primo obiettivo ha quello di prevenire un’eventuale occupazione. Ciò significa: più truppe e attrezzature permanentemente sul confine russo, più integrazione dei piani di difesa degli alleati, più spese militari e più rapidità di risposta investendo sui jet. Oggi, all’incontro del gruppo di contatto sull’Ucraina nella base tedesca di Ramstein, il vertice in cui si monitorano le richieste di Kyiv e l’unità degli alleati nel soddisfarle, si discute di missili, di munizioni (che mancano) e soprattutto di aerei: la formazione dei piloti, dei tecnici e degli ingegneri che servono per la manutenzione, e degli F-16 della “jet coalition”. Passo dopo passo – magari senza andare troppo rapidi, ma si marcia uniti e questo è decisivo – si sta costruendo non soltanto una strategia a lungo termine per la difesa dell’Ucraina, ma anche una nuova Nato.


Lo svelamento di Vilnius. Il vero appuntamento dell’Alleanza però è a Vilnius, dove si terrà a metà luglio un vertice molto importante. L’attesa  è travolgente e a dirlo non sono soltanto analisti ed esperti, ma lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg ha annunciato che si tratterà di un momento fondamentale per l’Alleanza atlantica. Si parlerà dei nuovi scenari di Difesa, degli investimenti, della possibilità di andare oltre al 2 per cento del pil, contributo che già non tutti i paesi membri versano. Si parlerà dell’allargamento, non soltanto di quello già acquisito con la Finlandia, che dopo la richiesta di adesione dell’ex premier Sanna Marin ha già iniziato il suo cammino non più a fianco dei paesi dell’Alleanza, ma tra i paesi dell’Alleanza. Ma anche di quello sospeso della Svezia, rimasta in ostaggio dei veti dell’Ungheria e della Turchia. Si parlerà molto di Ucraina, ma in senso più ampio, “a lungo termine”, ci ha detto l’ambasciatrice Julianne Smith, rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la Nato, durante un incontro con la stampa internazionale. “A lungo termine” vuol dire che i colloqui che Kyiv tanto attende a Vilnius non riguarderanno soltanto la controffensiva, la lista delle armi che servono a liberare il territorio, il supporto pratico immediato, ma anche il futuro e  la  forma da dare a questo futuro condiviso. 
 

L’ambasciatrice Smith ci ha detto che a Vilnius si parlerà di Ucraina, ma con una prospettiva “a lungo termine”

 

L’ingresso dell’Ucraina. Al vertice di Vilnius “invieremo un forte messaggio di sostegno e solidarietà all’Ucraina e chiariremo che il suo futuro  è nella Nato”, ha detto ieri Jens Stoltenberg. Prima di fare marcia indietro quasi subito. Perché il futuro nella Nato rischia di essere molto lontano per Kyiv. Nessuno degli stati membri dell’Alleanza – nemmeno i Baltici o la Polonia – immagina l'ingresso con la guerra ancora in corso. L’Amministrazione Biden vuole andarci molto piano per timore di escalation con la Russia. Anche Francia e Germania sono prudenti. Le pressioni vengono soprattutto dai paesi nordici e dell’est. Ma non sono sufficienti a convincere tutti i membri della Nato a mandare almeno un invito formale o approvare un piano d’azione per l’ingresso. Così Stoltenberg continua a prendere tempo: alle promesse di lungo periodo seguono giustificazioni di breve periodo. Questa settimana a Washington e a Bruxelles Stoltenberg ha spiegato che ora la priorità deve essere vincere la guerra contro la Russia, altrimenti non ci sarà un’Ucraina sovrana, indipendente e democratica da far entrare nella Nato. In ogni caso, prima dell’adesione serve una “grande transizione” dell’esercito ucraino per passare agli standard e all’interoperabilità della Nato. Così il vertice di Vilnius offrirà a Volodymyr Zelensky un pacchetto: rafforzamento della cooperazione politica (la Commissione Nato-Ucraina sarà sostituita da un Consiglio Nato-Ucraina), aiuti economici e militari, e garanzie di sicurezza individuali fornite dai singoli membri della Nato per preparare il dopo guerra. L’Amministrazione Biden vorrebbe limitarsi al “modello Israele”: un accordo di fornitura di tecnologie e armi per permettere all’Ucraina di difendersi da future aggressioni. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha detto di volere qualcosa di più, come un “percorso” per l’adesione. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, non si è sbilanciato. L’obiettivo sarà “massimizzare le possibilità che ci sia davvero la fine della guerra” e la Russia non attacchi di nuovo, ha spiegato Stoltenberg: “Dobbiamo assicurare che l’Ucraina abbia le capacità, le armi, i sistemi e gli standard Nato affinché sia in grado, da sola, di scoraggiare attacchi e difendersi in caso di attacco”. La parola chiave è “sola”.

 

L’ingresso della Svezia. L’altro argomento molto atteso riguarda invece l’allargamento.  Secondo l’ambasciatrice Smith, la Svezia è pronta, la Turchia quasi. L’Amministrazione americana è fiduciosa che l’adesione avverrà presto, temporalmente non lontano da Vilnius e anche Stoltenberg ha annunciato che ci sono stati progressi dopo i suoi colloqui con il presidente turco appena rieletto Recep Tayyip Erdogan. Durante la sua visita in Azerbaigian, un paese a cui Ankara tiene molto, Erdogan ha però detto ai giornalisti che non sarà Vilnius il luogo adatto per decretare l’ingresso della Svezia, troppo presto e “sfortunatamente” proprio mentre Stoltenberg si mostrava tanto ottimista, secondo il presidente, ai “terroristi” del Pkk è stato permesso di manifestare per le strade di Stoccolma. Il presidente turco frena, prende tempo, ha le idee chiare, più chiare dell’altra voce fuori dal coro che è quella di Orbán. La Turchia parla del rapporto tra la Svezia e quelli che definisce dei terroristi come argomento fondamentale della propria contrarietà. Ma poteva funzionare in campagna elettorale, adesso Ankara vuole altro, blocca per motivi che probabilmente hanno a che vedere con gli F-16 che prevede di  acquistare dagli Stati Uniti. Biden vuole che la Turchia elimini ogni obiezione, se cadrà il veto turco verrà meno anche quello ungherese, che è meno consistente. Ma Erdogan vuole dettare ancora le condizioni, non rinuncia a lasciare l’Alleanza con il fiato sospeso. L’ambasciatrice Smith è ottimista, come ottimista è l’Amministrazione americana. E’ questione di tempo, è questione di Erdogan e di quanto vorrà guadagnare prima del suo personale via libera. Quello che invece sperano i più pessimisti è che la questione verrà risolta prima dell’arrivo di un nuovo segretario.  

 

Il mandato di Stoltenberg è già stato prolungato tre volte, è il momento di un cambio con una leader di un paese dell’est

 

La successione. Il mandato del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è stato già prolungato per tre volte, ora lui ripete: basta, dopo nove anni, alla fine di settembre entrerà in carica il mio successore. Non è detto che vada così, perché l’accordo su un nome tarda ad arrivare e mai come adesso l’Alleanza ha bisogno di continuità, e anche di non litigare. Questa settimana Stoltenberg è andato in visita alla Casa Bianca, Joe Biden ha detto che il lavoro dell’attuale segretario della Nato è fantastico e che non ha ancora preso una decisione sulla sua successione. Mentre si ammonticchiano le dichiarazioni dei ministri della Difesa dei 31 stati membri dell’Alleanza che dicono: perché cambiare adesso?, si annuvolano le due candidature principali, cioè quella della premier danese Mette Frederiksen e del ministro della Difesa britannico Ben Wallace. Tra i due, fino a poco tempo fa  il secondo sembrava essere   il meno favorito, perché è un uomo, ha un profilo militare e non diplomatico, e manca anche dei requisiti geografici richiesti al nuovo segretario:  non viene da uno dei paesi a ridosso della Russia. In realtà Londra ha avuto un ruolo decisivo nella costruzione di un’alleanza solida a favore dell’Ucraina, ha saputo fare le pressioni calibrate sugli Stati Uniti e presenta forse il candidato più preparato che ci sia: se la successione non fosse un affare ben più complesso della competenza e della capacità di leadership, Wallace, che non nasconde la sua ambizione, sarebbe davvero adatto. Ma il premier britannico, Rishi Sunak, di recente in visita da Biden non è riuscito, nonostante stia facendo una gran campagna per il suo ministro, a conquistare l’appoggio americano. E poi dall’Alleanza continuano a dire che il prossimo segretario sarà una donna. Però Biden non appoggia nemmeno  Frederiksen, nonostante lei sia andata personalmente alla Casa Bianca a portare avanti la sua candidatura, sostenuta dai due paesi più importanti dell’Europa, la Francia e la Germania. Neppure la Polonia, un paese che diventa sempre più rilevante dentro l’Alleanza, approva la candidatura della premier danese, che soddisfa il requisito di genere, ma non quello geografico. Viene dalla stessa area geografica di Stoltenberg e del suo predecessore, il danese Anders Fogh Rasmussen – tutti paesi che peraltro non contribuiscono con il due per cento del pil alle spese della Nato. La Polonia insiste nel dire che sarebbe un grande segnale contro la Russia scegliere un segretario, o una segretaria, di un paese che ha subìto il giogo sovietico. Il fronte dei paesi dell’est Europa e dei Baltici che più si sono esposti per la difesa dell’Ucraina  sono quindi i favoriti della successione. Ambitissima sarebbe la premier estone Kaja Kallas, che soddisfa tutti i requisiti e che ha una chiarezza di retorica e di intenti unici, ma sono i funzionari estoni a frenare: non vogliono perderla alla guida del loro governo.

 

A Vilnius potrebbe chiarirsi meglio la successione, ma Wallace stesso dice speranzoso che si può aspettare anche fino all’ultimo. Il compito non è affatto semplice, perché oltre a dover traghettare la Nato verso il futuro con riforme importanti e un allargamento ancor più delicato, il compito di un segretario generale è più ampio: deve essere in contatto con tutti, assicurarsi che le preoccupazioni siano ascoltate, dare stimoli e rassicurazioni – insomma deve mantenere la famiglia unita, che è un’arte.   


(ha collaborato David Carretta)