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Tra le righe della storia di successo chiamata Grecia

Paola Peduzzi e Micol Flammini

 Al voto di domenica è di nuovo Mitsotakis contro Tsipras, ma con un paese rivoluzionato dal premier liberale che rimane ancora molto nervoso

Nel 2019 i greci decisero di votare per Kyriakos Mitsotakis perché la rivoluzione promessa dal leader di Syriza, Alexis Tsipras, era fallita. Non sapevano che l’attuale premier la sua rivoluzione l’aveva già fatta dentro al suo partito, Nuova democrazia, espressione di un conservatorismo che Mitsotakis ha completamente trasformato. Si è presentato nel suo partito come un liberale alieno, e alla Grecia, ormai stanca di sentire parlare di rivoluzioni, come il fautore pragmatico della crescita del paese. Nel 2019 non potevano esserci due figure più diverse tra Mitsotakis e Tsipras, il primo era lo specchio del mondo che il secondo voleva rottamare e non soltanto vinse le elezioni ma la sua vittoria dimostrò che i greci avevano voglia di restaurazione. Il premier è un prodotto dell’establishment, la sua famiglia è una grande dinastia politica: suo padre, Konstantinos, è stato premier dal 1990 al 1993 e un suo antenato, Eleftherios Venizelos, fu uno dei padri fondatori della Grecia. Ha studiato negli Stati Uniti, ha lavorato per McKinsey e Chase Bank, Mitsotakis incarnava tutto ciò che la sinistra greca voleva combattere. Invece, in questi anni, i greci si sono trovati davanti un riformatore, più che un restauratore. Un riformatore senza giacche di pelle e moto, senza autobiografie squillanti e camicie slacciate – al massimo con qualche braccialetto della fortuna al polso. 

 

Il 21 maggio, la Grecia va al voto, e probabilmente ci tornerà anche ai primi di luglio, ma con una legge elettorale nuova. Per capire cosa è cambiato in questi anni nel paese dell’austerità, della troika, e a cui guardavano tutte battaglie contro Bruxelles, abbiamo chiesto a Yannis Koutsomitis, analista di affari europei, se Mitsotakis le promesse le ha mantenute e soprattutto quanto è cambiata la Grecia in questi quattro anni con tutti i suoi protagonisti. “Mitsotakis ha portato a termine quasi tutto quello che aveva promesso nella prima campagna elettorale, aveva promesso di abbassare le tasse e di ridurre la disoccupazione. Questi obiettivi sono stati raggiunti. La proposta che fa ora è: votatemi e continueremo a riformare il paese”. Rispetto al 2019 la campagna elettorale è molto cambiata, il termine “austerità”, che oggi viene tirato fuori di rado, quattro anni fa era al centro del dibattito. “Adesso è Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze con Tsipras, a parlare della crisi greca, ma è un argomento che usa contro Tsipras stesso, che invece difende le sue scelte”. Se Mitsotakis dovesse vincere, e i sondaggi lo danno come favorito, promette di dedicarsi alla digitalizzazione e alla sanità. Sa bene quali successi rivendicare, sa dove attaccare la sinistra,  deve però vedersela con una campagna elettorale che alcuni osservatori definiscono “tossica” e soprattutto contro le accuse di aver fatto mettere sotto sorveglianza avversari politici, giornalisti ed esponenti del suo stesso partito con lo spyware Predator. 

 

Nelle urne conta solo l’economia, ma il problema sarà formare una coalizione che regga. I numeri del rilancio


Ritratto di un’elezione. Yannis Koutsomitis ci ha detto che gli argomenti principali in questa campagna elettorale sono: “Economia, economia, economia. Si parla del costo della vita, degli stipendi nel settore pubblico e privato e del sistema sanitario”. La pandemia ha complicato la situazione della sanità greca, già messa a dura prova dai tagli. Ma adesso i medici e gli infermieri sono stremati, il sistema assorbe poche assunzioni, molti laureati  in medicina vanno all’estero. “La risposta di Mitsotakis è che il suo governo farà gli investimenti necessari e come prova mostra quello che ha fatto negli anni passati”. La Grecia inoltre, nella stesura del Pnrr era la prima della classe, era talmente abituata a masticare il linguaggio della Commissione, a fare dei progetti a Bruxelles, che subito ha avuto la fiducia necessaria. Mitsotakis adesso promette di spendere bene quel denaro. E visto che a sinistra c’è ancora chi parla di Grexit e di piani di valuta digitale alternativa per soppiantare l’euro, il premier usa queste campagne per presentarsi come la garanzia di un rapporto sereno con Bruxelles. Nei sondaggi Nuova democrazia è  seguito da Syriza dell’ex premier Alexis Tsipras, sotto, con grande distacco, si trovano i socialisti di Pasok, seguiti dai comunisti del Kke, seguiti a loro volta da Varoufakis che se la batte con il Partito nazionale, un tempo chiamato Greci per la patria e come primo punto ha la lotta al calo demografico e ha aumentato i suoi consensi negli ultimi mesi, e con Soluzione greca, un partito che siede nel Parlamento europeo accanto a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni con Ecr. Le due coalizioni, difficilmente avranno la maggioranza necessaria per governare, difficile che arrivino a un accordo. 

 

Ancora tu, Tsipras. Alexis Tsipras ha scelto la città di Larissa per il suo comizio elettorale più duro – la città del cordoglio,  in cui c’è stato l’incidente ferroviario, alla fine di febbraio:  57 morti, 85 feriti, un frontale tra un treno merci e un treno passeggeri prima di mezzanotte, causato dal fatto che tutto è gestito manualmente nel sistema greco. Larissa è il cuore ferito della Grecia che si proietta nel futuro e Tsipras, che i cuori dei greci li ha sedotti, coccolati, traditi, ripresi e infine persi alle scorse elezioni, ha scelto questo luogo per denunciare “il regime di Mitsotakis”,  gridare “ne abbiamo abbastanza” e dettagliare anche di  cosa lui e il suo popolo ne hanno abbastanza: “Basta con il profitto, la disuguaglianza, il nepotismo, l’indifferenza, l’arroganza, l’ingiustizia”. Tsipras, quarantotto anni portati con piglio energico (i candidati alle elezioni greche sono tutti uomini che dimostrano meno della loro età),  primo ministro dal 2015 al 2019, punta sulla mobilitazione del voto giovanile, recupera i toni che ha sperimentato  da quando a sedici anni arringava i picchetti studenteschi pettinato come Elvis Presley, e colora di rosso intenso il suo partito, Syriza. E’ un leader che maneggia l’ideologia con arte ma che ha dimostrato, quando in pericolo c’era la sopravvivenza della Grecia dentro l’Europa, di sapere essere straordinariamente pragmatico: mai si era visto, nei consessi emergenziali europei, una capacità di adattamento così spiccata, l’abilità di passare da scardinatore populista di scatolette di tonno a leader dell’austerità, delle lacrime e sangue in nome di un’urgente riforma economica. Ora che ha il privilegio di essere all’opposizione, Tsipras  sa che per avere una chance deve mettersi d’accordo con gli altri partiti di sinistra, e quindi rimodella la sua retorica, tornando alle origini. Con il Pasok, il partito storico della sinistra greca che era stato estinto proprio dall’ascesa di Syriza, il dialogo è burrascoso: Nikos Androulakis, il nuovo leader del Pasok che, non essendo eletto, non ha mai potuto prendere la parola nei dibattiti in Parlamento, è sempre sembrato più vicino a Mitsotakis che a Tsipras. Quarantaquattro anni, moderato, con un partito ridotto all’osso, Androulakis ha costruito la ripartenza del Pasok con calma ed europeismo, ma quando ha scoperto di essere stato anche lui  sotto sorveglianza del partito del premier nel gigantesco scandalo  che è un po’ un Watergate senza scasso, ha detto: né con Mitsotakis né con Tsipras. Con qualcuno dovrà allearsi, oggi sembra più vicino a Tsipras almeno nella tipologia di elettore, e certo sembra per il leader di Syriza ben più governabile dell’altro partito con cui toccherà parlare, quello guidato da Yannis Varoufakis. La frattura tra i due, consumatasi proprio per la svolta pragmatica di Tsipras, non si è ricomposta e Varoufakis dice: non ho fondato un altro partito per elemosinare oggi un ministero da Tsipras, se vuole qualcosa da noi inizi a parlarci come si deve.

 

La storia di successo. “Ci dicevano che saremmo  dovuti uscire dalla zona euro. Ci dicevano che la Grecia non avrebbe mai avuto un debito pubblico stabile, che non avrebbe mai avuto un surplus primario e che il nostro sistema bancario non sarebbe mai stato credibile. Alla fine, nulla è impossibile”, ha detto trionfante al Financial Times il presidente della Eurobank, raccontando come i titoli greci siano passati dalla spazzatura alla attrattiva, in uno dei più clamorosi rilanci mai visti in Europa. Lo scorso anno la Grecia è cresciuta a una velocità doppia rispetto alla media europea e le proiezioni per il 2023 sono più che promettenti. Il paziente greco si è rimesso in piedi, ha anche creato il suo primo “unicorno”, la startup Viva Wallet, una banca online, e già dall’agosto scorso è uscito da tutti i meccanismi di controllo, vive sui mercati come un paese normale, allineato agli altri europei. Gli investimenti stranieri diretti sono cresciuti del 50 per cento lo scorso anno, toccando un picco che non si vedeva dal 2002 e il governo greco ha presentato un piano considerato molto credibile per utilizzare i 30,5 miliardi di euro del Recovery plan (pari al 18 per cento del suo pil). Mitsotakis ha abbassato le tasse delle aziende, ha alzato pensioni e salario minimo, ha attirato investimenti (anche immobiliari) nel paese, ha dichiarato la Grecia “open for business” e gli è stata data molta fiducia (l’inflazione contribuisce, va detto, a drogare un pochino i numeri). Le esportazioni, nel decennio dal 2010 al 2021, che è stato anche quello della crisi nera della Grecia, sono cresciute del 90 per cento, quando la media europea è del 42, e infatti molti esperti dicono in coro: quando si parla di “storia di successo” in Europa si devono citare le esportazioni greche. E allora perché la sinistra dice che il governo ha fallito nel rilanciare la società greca? La domanda interna è bassa, il potere d’acquisto dei greci non è cresciuto, la grande campagna di modernizzazione voluta da Mitsotakis non ha toccato i servizi ai cittadini, che sono considerati arretrati e, quel che è peggio, negletti: per questo l’incidente ferroviario è stato politicamente così pesante – si è dimesso anche il ministro dei Trasporti – perché è come se avesse mostrato il volto vero della Grecia, dietro al make up del rilancio finanziario. Che  pure ha davvero un che di miracoloso. 

 

I due episodi più dibattuti sono lo scandalo delle intercettazioni del partito di governo e l’incidente ferroviario di febbraio

 

La Grecia e le armi. L’Ucraina non è centrale nella campagna elettorale, Koutsomitis ci ha detto che c’è  consenso sul sostegno da offrire a Kyiv, con  qualche crepa, soprattutto a sinistra, su come far finire la guerra e sulle possibili concessioni da fare alla Russia. Ma in generale, non è una priorità. Lo sguardo internazionale della Grecia è rivolto verso la Turchia. La Grecia è uno dei pochi paesi della Nato che spende il due per cento del pil per la difesa, la leva è obbligatoria, il personale militare attivo varia dalle 130 alle 140 mila unità e rispetto alla sua popolazione di circa 10 milioni di abitanti, il suo sforzo bellico è grande e Atene ha bisogno di armarsi fino ai denti: è una protezione, è deterrenza, è il modo per far vedere alla Turchia, che è una potenza militare, che in caso di scontro, la Grecia è pronta. I due paesi sono entrambi dentro alla Nato, e gli alleati sono costretti agli equilibrismi, ma molto sollevati dal fatto che Mitsotakis ha una convinzione: portare il presidente turco che si appresta a essere riconfermato, Recep Tayyip Erdogan, alla ragione. Con le parole, con i negoziati, non con le armi. La disputa tra i due paesi riguarda alcune isole nel mar Egeo, Cipro, i migranti, la sfiducia storica. Momenti di tensione e pericolo ci sono stati, ma il premier greco dice che “non ci saranno episodi caldi”, che basta il buon senso. “Ai greci – ci ha detto Yannis Koutsomitis – è piaciuto come finora Mitsotakis ha affrontato la questione. Anche tra i vari partiti c’è convergenza”. C’è pure  la questione dei migranti a dividere Atene e Ankara, che ha un simbolo forte, terribile: la barriera difensiva lunga quaranta chilometri tra i due paesi, che ormai neppure Syriza propone più di buttare giù.

 

I migranti. La Grecia è “il nostro scudo europeo”, aveva detto il 4 marzo del 2020 la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, visitando insieme a Mitsotakis il confine con la Turchia, dove si stavano ammassando migranti portati lì da  Erdogan per fare pressioni sull’Ue e ricevere un altro assegno per tenersi i rifugiati siriani. Mitsotakis era in carica da meno di un anno. Il suo predecessore Tsipras aveva accettato di applicare l’accordo del 2016 con la Turchia, che ha trasformato le isole greche nei grandi campi di rifugiati dell’Ue dalle condizioni ignobili. Il nuovo primo ministro aveva subito imposto un cambio di passo per passare a una politica proattiva di respingimenti in mare, con le navi della guardia costiera greca che spingono i gommoni di migranti nelle acque territoriali turche. Respingimenti sulle isole, con i migranti catturati, rimessi sulle zattere e ributtati in mare per farli tornare in Turchia. Respingimenti via terra, come accaduto prima della visita di von der Leyen, quando le forze di sicurezza greche si sono messe a sparare gas lacrimogeni per impedire ai migranti di passare il confine. Era stato in quell’occasione che von der Leyen aveva usato la parola greca “Aspida”. Lo “scudo greco” di fatto ha segnato un cambio di direzione della Commissione, più propensa a promuovere “l’Europa fortezza” che a far rispettare il diritto internazionale e il divieto di respingimento e  Mitsotakis ha accettato di trasformare la Grecia nel grande esperimento della nuova politica dell’Ue su migrazione e asilo. I campi sulle isole greche sono diventati il modello per le nuove procedure di frontiera proposte dalla Commissione anche per gli altri stati membri. I respingimenti sono diventati una prassi accettata anche nel Mediterraneo centrale, nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla in Africa, o nelle foreste dei paesi Baltici e in Polonia quando la Bielorussia si è messa a usare l’arma dei migranti contro l’Ue. Anche in Grecia sono continuati. A volte utilizzando migranti per cacciare altri migranti. L’ultimo respingimento in mare è avvenuto il 9 maggio, quando 139 migranti sono stati spinti su gommoni e zattere verso la Turchia da dove erano partiti. “Abbiamo applicato una politica dura ma equa”, ha detto Mitsotakis  facendo campagna sull’isola di Lesbo, dove ha rivendicato la chiusura del campo di Moria dopo l’incendio del settembre del 2020 per sostituirlo con “centri controllati”  finanziati dall’Ue. Ma, secondo dei documenti della stessa Ue ottenuti da al Jazeera, ai migranti non sono garantiti diritti fondamentali e procedure sull’asilo.

 

Le isole greche sono la meraviglia del Mediterraneo, patrimonio nazionale su cui i greci sono particolarmente suscettibili. All’inizio della settimana, l’ambasciatore greco a Parigi ha scritto una lettera piccata al quotidiano Le Monde che, nella sua versione in inglese, all’indomani delle elezioni turche aveva indicato le isole Chios, Samos, Ikaria, Kos, Ios, Amorgos e Rodi come territorio turco. Dopo la missiva la mappa elettorale è sparita dal sito del Monde, ma alcuni commentatori hanno sottolineato che la fonte di quel disegno era Anadolu, l’agenzia di stampa legata al governo turco. Forse ha preso alla lettera la famosa frase di Erdogan rivolta ai greci: arriveremo all’improvviso di notte, quando sarà il momento. 


 (ha collaborato David Carretta)