(Foto di Ansa) 

La visita a Kyiv

La troika di guerra ricorda che il ruolo dell'occidente non è alle spalle di Zelensky ma è al suo fianco

Giuliano Ferrara

Draghi, Scholz e Macron si guadagnano un posto nel futuro negoziato. E insieme sostengono il peso della resistenza contro i progetti espansionisti di Putin, un uomo che ha morso per primo senza che nessuno gli abbia mai abbaiato contro

Rane, wurst e spaghetti, accidenti come si è divisa l’Europa. E quant’è largo il fossato oceanico dell’Atlantico. Dopo Biden in Polonia, Johnson a Kiyv, ecco la fotografia dell’Ottocento redivivo in marcia, la troika di guerra, i tre capi di Francia, Germania e Italia sul treno blindato per la capitale dell’Ucraina a ispezionare il luogo del male e dei cattivi, con il permesso di Francesco e monsignor Spadaro, per esibire al capo di quel popolo compattezza, muscoli, bandiere, aiuti, armi in concomitanza con americani e Nato. La guerra delle stragi, dell’artiglieria pesante, dei carri armati, del gas e del petrolio Putin aveva avuto tempo di prepararla come rivincita sulla maggiore “catastrofe geopolitica del XX secolo”, la liberazione del 1989, come nuovo impulso imperiale testato per anni dalla remissività diplomatica, cioè dalla cura per la pace e la prosperità delle nazioni, dei dirimpettai dell’Eurasia nell’interdipendenza delle fonti energetiche.

Non hanno voluto il cambiamento attraverso il commercio, Wandel durch Handel. Non hanno voluto né potuto liberare sé stessi da quel “solido fondo di oppressione”, come scrive Giuliano da Empoli nel suo eccellente romanzo distopico sul “Mago del Cremlino”, che è come una cappa sull’intera società ed esistenza russe. Ora cercano di rovesciare la dissoluzione dell’ultimo impero in una reazione di acciaio e morte vestita di patriottismo canaglia, ma gli si è parato contro, come forse si poteva prevedere, posto che si veda il vedibile, l’intero occidente, compresi neutrali, umanitari pacifisti e finlandizzati. Dicono di ridere delle sanzioni perché stanno riuscendo a martirizzare, dopo Mariupol, una parte cospicua del Donbas, e continuano a incassare il dividendo siberiano passando loro dalla parte della minaccia contro Germania e Italia. 

 

Contano sulle quinte colonne, più che altro mediatiche, sulla crisi da inflazione, sui rischi di recessione, sul blocco del grano, sulla stanchezza dell’opinione pubblica, da noi libera e da loro incarcerata con metodi da “operazione speciale”. Fanno la guerra distruttiva, cecena, denazificano donne vecchi e bambini, sbandierano vittorie non loro che risalgono al 1945 insultando la storia e la memoria, ma forse il calcolo lo hanno clamorosamente sbagliato.

Non si sa se sia vero che Macron, preoccupato di non “umiliare” la Russia, concetto sempre commendevole anche nella più spietata delle guerre convenzionali, abbia però lasciato trapelare che la faccenda non si può chiudere senza il ritorno del Donbas e della Crimea al paese invaso. Si sa per certo che Scholz e Draghi, malgrado la esposizione dei loro paesi alle conseguenze della guerra, che è acuta, si sono mossi con passo sicuro nella direzione giusta, insieme con tutto il resto dell’Unione europea e della Nato. La svolta contro ogni ambiguità nei due paesi che hanno perso la guerra mondiale, e si erano attenuti alla doppia politica dell’euroatlantismo e del piede di casa per decenni, con le note eccezioni storiche, è un segno sinistro dei tempi per l’oligarchia del Cremlino.

 

Si capisce che si affidino al casereccio Medvedev, il segnaposto di Putin che si agita forse perché vuole le grazie del principale, o chissà che cos’altro, e alle stolte risate contro le sanzioni dall’alto del lusso della burocrazia neoimperiale che lascia affondare la classe media e il popolo nel brodo della propaganda, dell’immiserimento progressivo e dell’isolamento economico internazionale, perfino dalla “amica” Cina. L’occidente con quest’ultimo viaggio si guadagna un posto nel futuro negoziato, e finalmente dovrebbe essere evidente a tutti, prima di ogni altra cosa a Mosca, che quel posto non è alle spalle di Zelensky e degli ucraini eroici, ma al loro sostegno e al loro fianco. Per una ragione fin troppo semplice. Sono loro a sostenere, in nome e per conto di tutto l’occidente libero, il peso tragico della resistenza contro i progetti paranoico-espansionisti di un circolo di cortigiani imbellettati da classe dirigente, riuniti intorno a un uomo molto malato di volontà di potenza, un lupo mannaro che ha morso per primo senza che nessuno gli abbia mai abbaiato contro.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.