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editoriali

Alla guerra del gas con Putin: perché Gazprom riduce i flussi con Italia e Germania

Redazione

Per rispondere al taglio delle forniture l’Europa deve mettere un tetto al prezzo del gas. L'alternativa è che la Russia continui a usare metano e petrolio come armi

La Russia ha iniziato a chiudere i rubinetti. Dopo l’annuncio di una riduzione del flusso di gas del 40 per cento verso la Germania attraverso il gasdotto Nord Stream, Gazprom ha comunicato all’Eni una riduzione del flusso verso l’Italia pari al 15 per cento. La motivazione formale fornita da Mosca è che si tratta di problemi tecnici esacerbati dalle sanzioni: la causa sarebbe il malfunzionamento di una turbina che però non può essere riparata a causa del divieto di fornire servizi tecnici da parte dell’occidente. Insomma, sarebbe colpa nostra. Naturalmente nessuno crede a questa versione, almeno in Unione europea. Secondo il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck il motivo dichiarato da Gazprom “è solo un pretesto”: la strategia chiara è “quella di turbare le persone e aumentare i prezzi”.

 

Il livello politico e quello economico non vanno in parallelo, ma sono intrecciati: la riduzione dell’offerta e la conseguente spinta all’insù dei prezzi non solo diventa un’arma di pressione molto forte sull’opinione pubblica europea per metterla contro i propri governi, ma ovviamente riempie i forzieri del Cremlino. Dopo l’annuncio del taglio delle forniture ai due più grandi clienti della Russia, Germania e Italia appunto, il prezzo del gas è salito del 25 per cento. Questo meccanismo, al momento, sta funzionando anche con il petrolio: secondo un report dell’Agenzia internazionale dell’energia a maggio le esportazioni di petrolio russe sono salite a 20 miliardi di dollari, l’11 per cento in più rispetto ad aprile nonostante i volumi esportati siano diminuiti del 3 per cento. La scommessa di Putin è quella di piegare l’Europa alla vigilia della possibile visita di Draghi, Scholz e Macron in Ucraina. Ma in realtà l’uso politico dell’energia potrebbe – anzi dovrebbe – spingere i leader europei verso scelte più radicali, come ad esempio il “price cap” sul gas proposto da Draghi e un’accelerazione dell’uscita dalla dipendenza russa.