(foto d'archivio LaPresse)

Le derive radicali nella sinistra francese

Mauro Zanon

A ogni protesta “viene superato un altro limite”. Quanto va veloce la cancel culture negli atenei transalpini

Parigi. Lo scorso ottobre, l’egeria del femminismo francese Sylviane Agacinsky ha dovuto annullare la sua conferenza sull’“Essere umano nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” perché alcuni collettivi della gauche radicale, Solidaires Étudiant.e.s e Riposte Trans, non tolleravano che all’università Bordeaux Montaigne prendesse la parola un’intellettuale ostile alla pma (procreazioni medicalmente assistita) per tutte, minacciando azioni violente in caso di mantenimento della conferenza. Un mese dopo, l’ex presidente della Repubblica, François Hollande, ha dovuto abbandonare sotto scorta l’anfiteatro dell’università di Lille perché un gruppo di studenti facinorosi si era messo a bruciare le copie del suo libro, “Les leçons du pouvoir”, incolpandolo con toni aggressivi di essere il responsabile della precarietà studentesca. Ma si era già capito a inizio 2019 quale fosse l’antifona: con la deprogrammazione de “Le Supplici” di Eschilo alla Sorbona. Il motivo? Le maschere nere indossate dalle donne egizie sono state giudicate “razziste” e vettori di “propaganda coloniale” dai membri del Conseil représentatif des associations noires de France (Cran), i quali hanno impedito agli attori di entrare nell’anfiteatro e di mettere in scena la pièce.

 

Così si sta nelle grandes écoles e nelle università francesi da cinque anni a questa parte, come raccontato in una lunga inchiesta del Figaro. Censure, intimidazioni, minacce, pressioni: per evitare disordini, sempre più istituti sono costretti ad annullare eventi, spettacoli, conferenze, tavole rotonde che non piacciono alle frange radicali della sinistra francese, i movimenti indigenisti e decolonialisti, i quali hanno importato dagli Stati Uniti un’ideologia settaria che sta creando molti danni. “L’influenza delle università americane è sempre più forte negli istituti francesi. Tutto è cominciato in maniera soft cinque anni fa, con i primi ostacoli alla libertà d’espressione, in particolare sulla questione della laicità. Poi, c’è stata una moltiplicazione di ostacoli. La stampa ha reso pubblici alcuni di questi abusi, ma in realtà ce ne sono molti altri di cui non si parla”, ha detto al Figaro Gilles Denis, docente presso l’università di Lilla e membro del collettivo “Vigilance Universités”. Fondato nel 2016 per lottare contro il razzismo e l’antisemitismo che si espande negli atenei francesi, il collettivo di Denis ha allertato a più riprese le autorità politiche sul problema della censura e dell’oltranzismo di certi gruppuscoli che strozzano il dibattito delle idee nelle università.

 

La Francia, si sa, ha da sempre una fibra rivoluzionaria, riottosa, sovversiva, che spesso permette al paese di rompere l’ordine costituito e produrre un avanzamento, un progresso, un’innovazione (l’elezione dell’outsider Macron, che non a caso ha intitolato il suo libro programmatico “Révolution”, e la conseguente rottura del duopolio gollisti-socalisti, è uno degli esempi recenti più fulgidi in questo senso). Ma qui siamo di fronte a una radicalizzazione della lotta che non porta nessun miglioramento, anzi, crea un’atmosfera di terrore malsana, che preoccupa tutti, a prescindere dall’orientamento politico. “L’università si trova di fronte a ogni sorta di censura, è estremamente inquietante”, ha dichiarato al Figaro la filosofa Carole Talon-Hugon, prima di aggiungere: “Ogni volta, vengono superati i limiti. Con questo ritmo, temo che fra qualche settimana un gruppo chiederà che Cartesio non venga più studiato perché aveva paragonato gli animali alle macchine, e con lui Artistotele perché aveva detto che gli schiavi non erano degli uomini. Sarebbe l’inizio della fine”. Olivier Vial, presidente del sindacato studentesco Uni (Union national inter-universitaire), osserva questo fenomeno da diversi anni. “C’è un doppio fattore. Da un lato, l’ascesa di un attivismo e di un militantismo di estrema sinistra, e dall’altra l’emergere dei movimenti indigenisti, decolonialisti, antispecisti, ultrafemministi. Convinti di appartenere al campo del bene – spiega Vial – vogliono togliere la parola a tutti quelli che non la pensano come loro. E ciò avviene con la violenza”. Come gli appelli al linciaggio su Facebook al professore di linguistica Jean Szlamowicz, reo di essere critico verso la scrittura inclusiva. “A volte si è tentati dal non volersi più esprimere su un tema per non avere problemi – dice sconsolato Szlamowicz – E’ una pressione permanente”.

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