
foto LaPresse
Modello Tokyo
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Roma. La fase due in Giappone è già iniziata. Il paese simbolo della “scommessa” contro il Covid, accusato di aver sottovalutato a lungo la pandemia, in realtà ha ancora relativamente pochi contagiati (poco più di sedicimila su 126 milioni di abitanti) e 750 morti. Il governo guidato da Shinzo Abe ha quindi deciso per un alleggerimento delle misure d’emergenza prima del previsto per 39 delle sue 47 prefetture. La Greater Area di Tokyo (38 milioni di abitanti), che con oltre cinquemila contagiati è in testa alla classifica delle aree più colpite dal virus, è una di quelle prefetture per cui è stato deciso di prolungare l’emergenza fino al 31 maggio. Ma non è solo una continuazione della regola generale, ovvero “restate a casa il più possibile”. La governatrice di Tokyo Yuriko Koike, che sta guadagnando molti consensi per la gestione dell’epidemia, ha spiegato i dettagli della sua “fase due” venerdì scorso. C’è un piano, molto dettagliato, che verrà pubblicato nei prossimi giorni. Se la chiusura per decreto delle attività commerciali e sociali non è stata mai applicata in Giappone, tranne che per singoli esercizi commerciali e uffici a rischio come palestre, cinema e alcuni bar, anche nella fase di riapertura si insiste soprattutto sull’evitare le tre C – il pilastro su cui si basa il “modello giapponese”: “Closed spaces, Crowded places, Close conversations”, cioè spazi chiusi con poca ventilazione, aree affollate e conversazioni troppo ravvicinate. Anzitutto, per procedere con la fase due bisogna raggiungere sette obiettivi, ha detto la Koike, perché non basta un decremento generale dei nuovi casi di infezione per fare finta che l’epidemia non sia mai accaduta. Questo schema numerico serve anche a capire quando, come e in quali aree sarà necessario tornare indietro, e prepararsi “alla seconda ondata”, ha detto Koike. Anzitutto, serve che i nuovi casi giornalieri siano sempre sotto i venti, e che il numero di pazienti la cui fonte di infezione non può essere tracciata resti sempre sotto il 50 per cento del numero complessivo. E’ anche questa l’importanza cruciale dei team di contact tracer nelle epidemie: vuol dire che se non sappiamo esattamente come si è acceso un focolaio il contagio è considerato fuori controllo, non si possono fare isolamenti mirati e quindi si deve tornare alle regole precedenti, cioè l’isolamento collettivo. Poi c’è una soglia massima di pazienti gravi e di pazienti ospedalizzati, che serve per preservare le strutture sanitarie di Tokyo.
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- Giulia Pompili
È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio dal 2010, si occupa delle vicende che attraversano l’Asia orientale, soprattutto di Giappone e Coree, e scrive periodicamente anche di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo. Ha una newsletter settimanale che si chiama “Katane”, ed è in libreria con "Sotto lo stesso cielo" (Mondadori). È terzo dan di kendo.