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Il pasticcio del virus

Giulia Pompili

Il governo ha isolato Di Maio sulla questione voli da e per la Cina. Il primo danno collaterale: Taiwan

Roma. Più passano le ore, più l’emergenza coronavirus diventa una questione politica. Al di là dei risultati ottenuti dalla ricerca, c’è un problema che riguarda la confusa collaborazione tra membri del governo e la nostra diplomazia. Sabato scorso il viceministro della Salute di Taiwan, Ho Chi-Kung, era a Roma, ma nessuno lo ha ricevuto: “Ho fatto una breve sosta durante un viaggio in Europa. Ho incontrato alcuni membri della comunità taiwanese in Italia, alcuni di loro sono medici qui”, spiega Ho al Foglio. “La decisione del governo italiano di includere Taiwan nello stop ai voli da e per la Cina è stata annunciata più o meno nel momento del mio arrivo, quindi l’ufficio di rappresentanza di Taipei ha cercato di mettermi in contatto con il ministro Roberto Speranza o il sottosegretario Sandra Zampa. Speravamo di spiegare loro di persona la reale situazione dell’epidemia di coronavirus a Taiwan – abbiamo solo dieci casi confermati, tutti sottoposti a cure mediche appropriate. La situazione è chiaramente sotto controllo nel mio paese. Tuttavia, neanche il tentativo di chiamare i rappresentanti del ministero personalmente ha avuto successo”. L’isolamento tra Italia e Taiwan è uno dei “danni collaterali” di un provvedimento preso dal governo Conte forse con poche cautele, ma con molte conseguenze. 

 

Taiwan è il paese che la Cina rivendica come suo territorio, e che in nome della “One China Policy” che adottano i paesi occidentali e grazie all’enorme influenza politica di Pechino è esclusa dall’Organizzazione mondiale della sanità, quindi dai cruciali tavoli emergenziali. Ma Taipei è anche un’altra cosa rispetto alla Cina: neanche un mese fa il mondo intero ha lodato le elezioni che hanno riconfermato alla presidenza la democratica Tsai Ing-wen, Taiwan ha standard sanitari elevati, un sistema di trasparenza e comunicazione uguale al nostro, e per queste ragioni nessun paese finora ha preso provvedimenti per isolarla. “Questo divieto non è solo un ostacolo per il ritorno a casa dei taiwanesi e degli italiani, ma danneggia anche il commercio e i viaggi”, dice Ho. “Il dubbio è che l’Italia abbia preso una decisione che non riflette l’effettivo sviluppo dell’epidemia. E dimostra che ha emesso un giudizio inesatto perché nessuno associa Taiwan alla Cina in termini di sforzi di prevenzione del contagio.

 

Stati Uniti, Giappone, Singapore, Vietnam, Myanmar, Israele e altri hanno escluso Taiwan quando hanno fermato l’ingresso ai voli cinesi. E il motivo è che capiscono che in termini di prevenzione, Taiwan è un’entità a sé, diversa dalla Cina”. Non è un caso se in questi giorni la questione politica internazionale riguarda proprio l’ingresso di Taiwan nell’Oms, e l’Unione europea, il primo ministro giapponese Shinzo Abe, quello canadese Justin Trudeau sono d’accordo: “È necessario che Taiwan si unisca all’Oms”, ha detto Abe. “Anche l’Ue ha elencato separatamente Cina e Taiwan nelle sue relazioni. Suggeriamo quindi all’Italia di seguire l’Unione europea e non l’Oms”, dice il viceministro Ho. Ma i fatti raccontano di una decisione presa sbrigativamente: il 30 gennaio scorso, in serata, l’Oms dichiara il contagio del nuovo coronavirus “un’emergenza globale”. Il giorno dopo, alle dieci del mattino, si riunisce il Consiglio dei ministri, presieduto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e alla presenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il Cdm decide per lo stato d’emergenza, che permette di stanziare 5 milioni di euro da usare per i rimpatri e in caso di contagio di massa. Ma prende anche l’altra decisione importante: lo stop ai voli da e per la Cina.

 

Nel pomeriggio le strade del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri si dividono. Il primo partecipa alla riunione del comitato operativo della Protezione civile, insieme con il ministro della Salute Roberto Speranza. Di Maio invece fa una videoconferenza con l’ambasciatore italiano a Pechino, Luca Ferrari (arrivato in Cina da una manciata di settimane), e poi fa alcune dichiarazioni alla stampa. Assicura il rimpatrio dei connazionali bloccati a Wuhan (rientrati ieri) e dice che “dopo il provvedimento di sospensione dei voli dalla Cina, abbiamo deciso di costituire un’unità operativa speciale per agevolare tutte le procedure relative agli italiani in Cina, ai cinesi temporaneamente presenti in Italia, alla gestione del traffico merci”. Tecnicamente, degli 11.600 italiani (dati Aire) presenti in Cina è responsabile la Farnesina, che però, secondo quanto ricostruito dal Foglio, in Cdm si ritrova con una decisione già presa: quella dell’isolamento. È il giorno dopo la conferma di due pazienti affetti da coronavirus a Roma, e il governo vuole dare – soprattutto all’opinione pubblica – una risposta “efficace”. Così sceglie la strada più veloce: uno stop dei voli. In Cdm anche la voce di Di Maio è isolata – è pur sempre considerato molto vicino alla Cina, è l’uomo che ha firmato il memorandum d’intesa sulla Via della Seta con Pechino – ma al di là della politica interna e dei messaggi indiretti da mandare a Washington, le conseguenze sono varie.

 

Prima conseguenza: la Cina è furiosa. Ci sono cittadini cinesi in Italia che non possono tornare in Cina. Si blocca l’import e l’export. Di Maio in conferenza stampa dice che “l’Italia è amica del popolo cinese ed è vicina al governo cinese” ma non basta. Ieri l’Enac, attraverso il ministero degli Esteri, riattiva ufficialmente “la possibilità di effettuare voli cargo merci tra Italia e Cina”. Nonostante questo, il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha detto ieri che “alcuni paesi, in particolare gli Stati Uniti, hanno reagito in modo inappropriato, il che è certamente contrario alla consulenza dell’Oms”. “Alcuni paesi” sono l’Italia, unico ad aver preso decisioni “draconiane” a livello governativo – più dell’America, che ha bloccato l’ingresso ai non-cittadini che hanno viaggiato in Cina, e più delle compagnie aeree che hanno individualmente scelto di fermare i voli per la Cina. Il Vietnam, che aveva annunciato lo stop ai voli, 4 ore dopo ha rivisto la decisione.

 

Anche la Camera di commercio italiana in Cina ieri ha diffuso un comunicato nel quale esprime “preoccupazione per le recenti decisioni prese a livello governativo in Italia, che potrebbero portare a una evoluzione negativa dei rapporti bilaterali tra i nostri paesi e per l’impatto che tali decisioni avranno sulla vita professionale e personale degli Italiani in Cina una volta che la situazione ritornerà alla normalità”. Per cercare di metterci una pezza, in queste ore la Farnesina sta lavorando a un escamotage: con la scusa di permettere il rimpatrio diretto dei cittadini cinesi (che comunque possono avvalersi di voli con scalo) autorizzare alcune rotte con compagnie aeree cinesi. In questo modo, anche per gli italiani in Cina si aprirebbe la possibilità di acquistare dei biglietti aerei verso l’Italia.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.